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La rete delle conoscenze nefrologiche

release  1
pubblicata il  12 luglio 2013 
Da Antonio Bellasi
Parole chiave: iperfosforemia
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Congresso

Secondo simposio nazionale del GdS Metabolismo Minerale ed Elementi in Traccia della SIN

LETTURA MAGISTRALE

Iperfosforemia e calcificazioni vascolari

Figura 1 di 33.



Figura 2 di 33.

Il bilancio del fosforo risulta sostanzialmente dall’equilibrio tra quantità di fosforo ingerita con la dieta, dalla quota scambiata dall’osso e dalla quantità escreta nelle urine nelle 24 ore  [1] (full text).  



Figura 3 di 33.

Le alterazioni del metabolismo mineralerappresentano una comune complicazione metabolica dell’insufficienza renale cronica. Tuttavia, come dimostrato dai tanti lavori disponibili in letteratura medica, le alterazioni dei livelli sierici del paratormone e del fosforo, sono abbastanza tardive e compaiono quando la funzione renale è già considerabilmente compromessa. Nello studio Nephro Test, che ha il pregio di aver misurato mediante metodica scintigrafica la funzione renale, l’iperparatiroidismo definito come valori di PTH al di sopra del range di normalità o l’ultilizzo di vitamina D attiva, diventa significativamente più prevalente quando il filtrato glomerulare si è ridotto al di sotto dei 50 ml/min. In modo analogo, l’iperfosforemia (definita come livelli sierici di fosforo superiori a 4.3 mg/dl), diventa significativamente più prevalente quando il filtrato si riduce al di sotto dei 35 ml/min.



Figura 4 di 33.

Tuttavia, se focalizziamo la nostra attenzione sull’escrezione urinaria di fosforo, come in questo lavoro di Craver e colleghi, si nota che la fosfaturia è significativamente incrementata quando ancora i valori di fosforemia sono contenuti in quello che riteniamo il range di normalità e per valori di GFR molto  superiori a quelli dimostrati nello studio Nephro test. Sia che si considerare la  fosfaturia delle 24 ore che si consideri la frazione di escrezione del fosforo, il lavoro  di Craver dimostra che l’escrezione di fosforo è significativamente incrementata già  nelle prime fasi dell’insufficienza renale cronica (CKD stadio 2). 



Figura 5 di 33.

Il paratormone, così come altri fattori fosfaturici quale il Fibroblast Growth Factor 23, sono responsabili di questo incremento della fosfaturia che previene la comparsa di fosforemia, almeno finché la massa nefronica non si riduce a livelli tali  per cui anche massimizzando l’escrezione di fosforo per singola unità nefronica  residua, non si riesce a prevenire l’iperfosforemia. 



Figura 6 di 33.

Premesso quindi che la fosforemia rappresenta un marker “spuntato” per valutare il bilancio del fosforo, ci sono numerosi studi clinici che associano i livelli sierici ed il sovraccarico di fosforo a diversi markers di danno d’organo cardiovascolare.



Figura 7 di 33.

Le calcificazioni vascolari ad esempio appaiono strettamente legate alle alterazioni  del metabolismo minerale. Esistono, infatti diverse forme di calcificazioni vascolari. Nella popolazione affetta da insufficienza renale sono state identificate almeno due  tipi di calcificazioni vascolari che localizzano nell’intima e nella media della parete  arteriosa  [2]. La prima è legata all’aterosclerosi ed ai fattori di rischio  cardiovascolari tradizionali, mentre la seconda si lega alle alterazioni del metabolismo minerale. Entrambe le forme di calcificazione, anche se con  meccanismi differenti, sono legate a una ridotta perfusione periferica e ad elevato rischio di morte per causa cardiovascolare o per tutte le cause  [3] (full text)  [4] (full text).



Figura 8 di 33.

Si ritiene oggi che le alterazioni del turn-­over dell’osso siano strettamente legate alle calcificazioni extraossee. Tanto le forme a basso che le forme ad alto turnover sono caratterizzate da un accumulo in circolo di metaboliti quali fosforo, calcio e magnesio che si aggregano e precipitano nei tessuti molli e nelle arterie, formando le calcificazioni vascolari  [2].



Figura 9 di 33.

Il processo di formazione delle calcificazioni vascolari non è solo un processo passivo di deposizione di idrossiapatite nei tessuti ma è anche un processo attivo regolato dal calcio e dal fosforo. Dati in vitro suggeriscono infatti che cellule di muscolatura liscia incubate con concentrazioni crescenti di fosforo e calcio, sono in  grado di andare in contro ad un processo di sdifferenziazione fenotipica ed acquisiscono la capacità di secernere matrice ossea come gli osteoblasti nel tessuto osseo  [5] (full text).



Figura 10 di 33.

Gli studi epidemiologici hanno ripetutamente messo in luce un significativo legame tra livelli sierici di fosforo e rischio di sviluppare calcificazioni. In questo studio, Foley e colleghi, hanno dimostrato in una coorte di soggetti normofunzione renale e di giovane età che esiste una relazione significativa tra il rischio di sviluppare calcificazioni coronariche e livelli di fosforo. Da notare che questa relazione è significativa anche per valori di fosforemia considerati normali (area verde del grafico).



Figura 11 di 33.

La calcificazione coronarica si associa ad un significativo incremento del rischio di morte sia negli uomini che nelle donne. In questo lavoro, si dimostra che  all’aumentare dell’estensione delle calcificazioni del letto coronarico aumenta in  modo quasi esponenziale il rischio di morte al follow-­up nella popolazione generale.



Figura 12 di 33.

Anche nella popolazione affetta da insufficienza renale in dialisi o nelle fasi predialitiche (ultimi due studi della tabella), si conferma il potere predittivo delle calcificazioni vascolari, a prescindere dalla metodica utilizzata per la visualizzazione e quantificazione. La presenza e l’estensione delle calcificazioni, si accompagna ad un significativo incremento del rischio di morte al follow-­up. Tuttavia, va anche sottolineato che l’assenza di calcificazioni si dimostra un predittore di sopravvivenza. Infatti, sia i pazienti in trattamento sostitutivo cronico che i pazienti con insufficienza renale non in dialisi che non mostrano evidenza di calcificazioni vascolari, presentano una sopravvivenza del 90-­95% a tre anni, decisamente superiore all’attesa media di questi soggetti ad elevato rischio CV.



Figura 13 di 33.

Il metabolismo del fosforo è stato associato anche al rischio di sviluppare ipertrofia ventricolare sinistra. In questo studio recente, si dimostra in una vasta coorte di pazienti affetti da insufficienza renale cronica non in dialisi che i livelli di FGF23 si associano a rischio di ipertrofia ventricolare sinistra. Da notare che in questo studio l’effetto di FGF23 sembra essere indipendente dai livelli sierici di fosforo e dall’azione di Klotho, il cofattore di FGF23. 



Figura 14 di 33.

Il metabolismo del fosforo è anche legato al metabolismo della vitamina D. Infatti, FGF23 è in grado di inibire l’azione dell’1alfa-­idrossilasi, enzima chiave nell’attivazione della vitamina D. Una riduzione dell’attivazione della vitamina D può avere ripercussioni sull’attivazione del sistema renina-­angiotensina. Infatti, diversi lavori di scienza di base suggeriscono che il calcitriolo contribuisce all’inibizione della renina con conseguente riduzione dell’attivazione del sistema renina-­angiotensina. Questa teoria sembra spiegare come mai le alterazioni del fosforo si associno a proteinuria ed a progressione dell’insufficienza renale cronica.



Figura 15 di 33.

In questo studio di Ix e colleghi, elevati livelli di FGF23 si associano a elevati livelli proteinuria.



Figura 16 di 33.

In una analisi posthoc dello studio Rein, elevati livelli di fosforo si associavano ad elevato rischio di progressione dell’insufficienza renale e, sorprendentemente, elevati livelli di fosforo, si associavano ad una ridotta risposta antiproteinurica degli ACE-­inibitori.



Figura 17 di 33.

In questo studio retrospettico, si è voluto investigare l’effetto di due regimi dietetici  a basso contenuto di proteine (LDL) o a molto basso contenuto di proteine (VLPD) sui livelli di fosforemia e fosfaturia e se questi regimi dietetici avessero un impatto sulla proteinuria delle 24 ore. Come si vede dal grafico, la restrizione proteica consente di ridurre significativamente i livelli di fosforo sierici e l’escrezione urinaria di fosforo.



Figura 18 di 33.

Il regime dietetico non influenzava la funzione renale ma si associava a riduzione della proteinuria. I pazienti, quando iniziavano il regime VLPD, osservavano una riduzione significativa della proteinuria delle 24 ore.



Figura 19 di 33.

Da notare che sia la fosforemia che la fosfaturia modificavano in modo significativo la risposta proteinuria al regime dietetico. Infatti i soggetti che nonostante la dieta mantenevano elevati livelli di fosforo sierico ed urinario, non osservavano una riduzione della proteinuria delle 24 ore.



Figura 20 di 33.

Il metabolismo del fosforo è stato associato anche ad hard outcomes.



Figura 21 di 33.

Abbiamo analizzato l’associazione tra livelli di fosforo e rischio di progressione fino alla dialisi dell’insufficienza renale e di morte per ogni causa tra I soggetti reclutati nel progetto PIRP. Il progetto PIRP è un progetto di collaborazione tra Nefrologi e medici di medicina generale per la gestione dei pazienti nefropatici. In questo database abbiamo identificato 1716 pazienti con diversi gradi di insufficienza renale e con almeno una misurazione della fosforemia. La tabella riassume le principali caratteristiche della popolazione reclutata. Questa popolazione rappresenta la maggioranza dei pazienti che quotidianamente vengono visitati negli ambulatori di nefrologia in Emilia-­Romagna ed in Italia



Figura 22 di 33.

In un periodo di osservazione abbastanza limitato (poco più di un anno), abbiamo registrato 451 eventi clinici di ingresso in dialisi o di morte per ogni causa. La frequenza degli eventi si ripartiva in modo abbastanza uniforme tra i due endpoints considerati e la frequenza dell’endpoint composito approcciava il 20%/anno. 



Figura 23 di 33.

In questa coorte, vi era un’associazione quasi lineare tra livelli di fosforo e rischio di  morte o ingresso in dialisi (endpoint composito) indipendentemente dai comuni fattori associati ai livelli di fosforo o agli endpoints considerati. Da notare che, almeno in questa coorte di pazienti, il rischio diventava significativo per valori di fosforemia superiori a 4.3 mg/dl, pressappoco il limite superiore del ange di normalità del fosforo fornito dai comuni laboratori.



Figura 24 di 33.

Se il fosforo è così strettamente legato a markers di danno d’organo o hard endpoint, cosa succede se interveniamo per ridurre il bilancio del fosforo? Purtroppo ad oggi mancano studi clinici randomizzati e controllati che dimostrino che ridurre il fosforo migliori la sopravvivenza in insufficinza renale cronica. Tuttavia, abbiamo  dati di confronto tra l’impatto dei diversi chelanti del fosforo sul rischio di progressione dell’insufficenza renale e sul rischio di morte.



Figura 25 di 33.

In questo studio di Yilmaz e colleghi, si è voluto valutare ‘impatto dei chelanti del fosforo a base di calcio vs sevelamer sulla funzione endoteliale e sui livelli di FGF23. 100 pazienti con CKD stadio 4 e iperfosforemia sono quindi stati reclutati e randomizzati a calcio acetato o Sevelamer per periodo di 8 settimane. 



Figura 26 di 33.

Alla fine del periodo di trattamento, nel braccio trattato con Sevelamer ma non in quello trattato con calcio acetato, si osservava una significativa riduzione dei livelli circolanti di FGF23 e un significativo miglioramento della funzione endoteliale 



Figura 27 di 33.

Nello studio Independent invece si è valutato l’impatto di Sevelamer vs sali di calcio in una coorte di 239 pazienti con CKD 3-­-4 e iperfosforemia sul rischio di morte o ingresso in dialisi in un periodo di osservazione di 36 mesi.



Figura 28 di 33.

La abella riassume le principali caratteristiche dei soggetti reclutati nello studio.



Figura 29 di 33.

Al termine dei 36 mesi di followup, i pazienti trattati con sevelamer presentavano un rischio dell’evento composito (morte per ogni causa o ingresso in dialisi) significativamente inferiore rispetto ai soggetti randomizzati a sali di calcio  



Figura 30 di 33.

Al termine dei 36 mesi di followup, i pazienti trattati con sevelamer presentavano un rischio di morte significativamente inferiore rispetto ai soggetti randomizzati a sali di calcio.



Figura 31 di 33.

Al termine dei 36 mesi di followup, i pazienti trattati con sevelamer presentavano un rischio di ingresso in dialisi significativamente inferiore rispetto ai soggetti randomizzati a sali di calcio.



Figura 32 di 33.

Tuttavia, dopo aggiustamento per fattori di confondimento, il benefico associato a sevelamer di ritardare l’ingresso in dialisi, si attenuava al punto di perdere la significatività statistica, forse per il numero esiguo di eventi registrati nel corso di questo studio. Il rischio dell’endpoint composito e di morte risultavano invece significativamente ridotti anche dopo aggiustamenti per I molteplici fattori di confondimento. 



Figura 33 di 33.

In conclusione:

- Le alterazioni del metabolismo minerale ed in particolare del fosforo si associano ad una prognosi peggiore in CKD.

- La fosforemia non è un marker raffinato del bilancio del fosforo ed il rischio di evento avverso è presente anche per livelli sierici di fosforo considerati normali.

- Alcuni nuovi markers come l’FGF23 potrebbero essere utili per raffinare la stratificazione del rischio.

- Dai dati di associazione disponibili in letteratura, sembra auspicabile quanto suggerito dalle linee guida KDIGO di mantenere I livelli di fosforo nel range di normalità.

- Se si decide di iniziare un trattamento con chelanti del fosforo, i dati della letteratura sembrano suggerire che I chelanti del fosforo non a base di calcio sembrano presentare un profilo rischio/benefico migliore.




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