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L’esercizio fisico nella malattia renale cronica

Testo

È utile l’esercizio fisico?

Fare con regolarità esercizio fisico è un’attitudine che migliora le condizioni generali di salute e porta ad una riduzione della mortalità [1] (full text). Proprio perché questa nozione è ormai definitivamente acquisita, viene raccomandato a tutti i soggetti, anche se apparentemente in buona salute, di praticare giornalmente, o più volte alla settimana, una certa attività fisica, corrispondente alle caratteristiche fisiche, anagrafiche e cliniche di ciascun soggetto. [2].

Se per attività fisica intendiamo “i movimenti corporei prodotti dalla contrazione dei muscoli scheletrici, con conseguente spesa energetica”, dobbiamo purtroppo dire che i soggetti in trattamento dialitico hanno la caratteristica di essere sedentari. È questa una osservazione abbastanza comune tra i Nefrologi che hanno in carico nefropatici cronici in dialisi e numerosi sono i dati riportati in letteratura [3], [4], [5] che la confermano. 

Bisogna anche considerare che gli uremici in dialisi hanno spesso un’età piuttosto elevata, in media intorno ai 70 anni, e questa condizione aggrava ulteriormente la tendenza ad una maggiore sedentarietà, rispetto ai soggetti in buona salute [6] (full text).

La sedentarietà si associa a disordini catabolici, che possono portare a perdita di massa muscolare e sarcopenia. Le comorbidità, che spesso accompagnano l’uremia, come l’anemia, il diabete mellito, i disordini del metabolismo osseo e minerale e l’obesità, contribuiscono anch’esse a peggiorare il quadro generale [6] (full text), [7], [8], [9] (full text).

Accanto a questi aspetti che potremmo definire organici, gli uremici sedentari lamentano anche debolezza muscolare ed eccessivo affaticamento, dovuti sia a fattori metabolici  che neurologici, che a loro volta portano ad una ulteriore riduzione di esercizio fisico, innescando così un circuito molto pericoloso.

Per converso, esistono, da molti anni, dati che mostrano come l’esercizio fisico abbia effetti benefici, migliorando la trofia muscolare anche nei soggetti in dialisi regolare [10] (full text), [11] (full text).

Uno studio statunitense ha confrontato soggetti con ESRD che facevano regolare esercizio fisico (N° 1181) con un gruppo di sedentari (N° 853), osservando una significativa riduzione della mortalità ad un anno nei primi rispetto ai secondi [12] (full text).

Un’ampia Cochrane review [13] riporta una metanalisi fatta su numerosi lavori. Viene confermato che l’esercizio fisico migliora significativamente la forma fisica, vari aspetti cardiovascolari e nutrizionali e la qualità della vita correlata allo stato di salute. Questa review suggerisce anche che l’esercizio che viene consigliato al paziente, dovrebbe essere disegnato considerando le sue caratteristiche, allo scopo quindi di ottimizzarne gli effetti.

I danni della sedentarietà e i benefici dell’esercizio

Lo schema riportato nella figura 1, e ripreso da una interessante messa a punto [12] (full text), cerca di chiarire le correlazioni che l’esercizio fisico ha con varie condizioni fisiopatologiche.

Come si può vedere, la sedentarietà, condizionata dall’età del soggetto, dall’anemia, dalla malattia renale cronica e poi dalla dialisi, favorisce l’insorgenza di patologie gravi come il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, la depressione, la resistenza all’insulina e la disfunzione endoteliale che, a loro volta, sommandosi alla malattia renale cronica e all’uremia,  inducono uno stato infiammatorio cronico e un aumento dello stress ossidativo. Risulta inoltre evidente come le condizioni legate alla malattia renale cronica (uremia e dialisi) portino a riduzione del benessere fisico (obiettivato dalla riduzione del VO2peak) e delle masse muscolari, fino alla sarcopenia.

Tutte queste condizioni, interagendo tra di esse  in vario modo, portano ad un aumento della mortalità.

Al contrario, una regolare attività fisica può spezzare molte di queste pericolose, e talvolta fatali, correlazioni (figura 1).

Vi sono in proposito ormai vari dati che confortano questa tesi, tanto che già alcuni anni fa [14] le K/DOQI suggerivano ai Nefrologi e a tutto lo staff dialitico di consigliare ai loro pazienti un più alto livello di esercizio fisico.

La sostenibilità dell’esercizio fisico

Il concetto di “sostenibilità”, correlato ai programmi studiati per spingere ad una maggiore attività fisica i soggetti in dialisi, non è ancora bene definito in letteratura. La “sostenibilità” implica la nozione che l’esercizio sia compreso nella routine del trattamento e sia diventato parte integrante dello stile di vita del soggetto, sia che venga fatto durante che fuori dalla seduta dialitica.

Una review del 2010 [15] ha analizzato 171 lavori sull’argomento, evidenziando alcuni elementi che potrebbero favorire la sostenibilità di un programma di esercizio fisico in emodialisi. Esso dovrebbe essere fatto da personale qualificato (specialisti in scienze motorie, fisiatri, fisioterapisti) e deve esserci un totale coinvolgimento del personale che segue la dialisi. Il programma dovrebbe essere articolato in modo che risulti interessante e stimolante, sia per il paziente che per il personale sanitario, svolgendolo in spazi idonei e dotandosi di adeguati strumenti tecnici. Anche l’aspetto riguardante i costi del personale e delle attrezzature va affrontato in maniera da garantire la sostenibilità del programma. 

A ciascuno il suo esercizio

L’età del paziente non è considerata di per sé un ostacolo, anche se viene ribadito che la prescrizione deve essere adattata a ciascun soggetto, in base alle sue condizioni fisiche, psichiche e cliniche [15] L’effettuazione del programma, all’interno della seduta dialitica o nei giorni di non-dialisi, va considerata anche in riferimento ad aspetti organizzativi del Centro e del paziente stesso [15]

L’esercizio nella fase di pre-dialisi

Un recente lavoro prospettico e controllato inglese [16] ha valutato i benefici effetti della marcia regolare in soggetti con CKD in fase preuremica, stadio 4-5, che osservava un programma di marcia di 30’ per cinque volte alla settimana, confrontandolo con un altro di controllo che manteneva invece le solite abitudini di vita. Al tempo zero, a un mese e a sei mesi, è stata valutata la percezione dello sforzo, impiegando la Scala di Borg (RPE, Borg Rating of Perceived Exertion) [17]. Pur essendo i due gruppi poco numerosi (20 soggetti in entrambi) e il follow-up di soli 6 mesi, si è potuto osservare, alla fine dello studio, una significativa minore percezione dello sforzo fisico. Anche la valutazione nei due gruppi della qualità della vita e dello stato di salute, tramite il FACIT-Sp (Functional Assessment of Chronic Illness Therapy-Spirituality Scale Quality of Life Tool) [18] (full text), e della percezione della sintomatologia uremica, usando il LUSS (Leicester Uraemic Symptom Score) [19],  ha mostrato dati significativamente migliori nei soggetti che facevano esercizio fisico.

Questi risultati consentivano agli Autori di sottolineare l’importanza dell’esercizio fisico aerobico anche nei soggetti in fase pre-dialitica [16].

I dati DOPPS

Particolarmente interessanti sono i dati DOPPS [20] (full text) riferiti a 20.920 pazienti dializzati in 12 nazioni diverse, tra il 1996 e il 2004. Come “esercizio regolare” si definiva quello fatto uno o più volte alla settimana, in base a quanto riferiva lo stesso paziente. Solo il 47,4 % dei soggetti affermava di fare un regolare esercizio fisico.

La probabilità di fare attività era del 38 % più alta nei pazienti dializzati in Centri che offrivano uno specifico programma. In Italia si registrava il dato peggiore, con oltre l’80 % (figura 2) dei pazienti che non faceva mai, o meno di una volta alla settimana, un qualsivoglia esercizio. L’altro 20% dichiarava di fare una certa attività fisica, con varia frequenza settimanale. Nessun Centro dialisi in Italia, tra quelli esaminati, offriva un regolare programma di esercizio durante la dialisi, mentre meno del 10 % dei pazienti erano trattati in Centri con un qualche programma di esercizio.

Anche i dati DOPPS [20] (full text) confermano che l’attività fisica regolare ha un impatto significativamente positivo su vari parametri di benessere e un più alto HRQoL, con migliori livelli di funzione fisica, migliore qualità del sonno, più elevato senso dell’appetito e i soggetti risultano meno disturbati da dolori fisici.

Qualche studio recente

Un recente lavoro del 2012 [3] ha valutato il numero di passi giornalieri, la spesa energetica correlata all’attività fisica e i livelli di esercizio in soggetti in emodialisi regolare di quattro diverse nazioni, adoperando un dispositivo portatile che forniva dati obiettivi sull’attività fisica del paziente. Il basso numero di passi giornalieri (< 5000/dì) e gli altri parametri rilevati facevano classificare nella categoria dei sedentari i 134 pazienti studiati e tale attitudine si accentuava significativamente nei giorni di dialisi. Anche l’età più alta, il più elevato BMI e il diabete contribuivano significativamente ad accentuare la sedentarietà.

Una review recente [21], condotta su 10 studi, pubblicati tra il 1995 e il 2005, ha confrontato circa 450 pazienti in ESRD, suddivisi tra gruppo di studio e gruppo di controllo, riguardo a vari outcome clinici a lungo termine. La regolare attività fisica ha portato ad una minore morbidità e maggiore sopravvivenza, rispetto ai controlli.

 

E in Italia?

Partendo dai dati della letteratura e da tutte le considerazioni appena fatte, in Italia si è dato corso ad uno studio, denominato EXCITE (EXerCise Introduction To Enhance performance in dialysis), multicentrico, randomizzato e controllato, indirizzato ai pazienti in trattamento dialitico.  Esso ha lo scopo di testare se un semplice programma di esercizio di marcia prescritto nel Centro dialisi, ma eseguito a domicilio, possa migliorare la forma fisica dei soggetti in dialisi.

Nell’incoraggiante lavoro pilota [22] che ha preceduto EXCITE, furono messi a confronto due gruppi di pazienti: il primo di 17 soggetti, denominato Exercise Group, e il secondo di controllo di 14 soggetti. Ai pazienti del primo gruppo, in base alle loro caratteristiche desunte dai test basali effettuati, veniva prescritto, a domicilio nei giorni di non-dialisi, un esercizio fisico consistente nel camminare per 5-10 minuti ad un passo cadenzato da un metronomo. L’altro gruppo faceva la usuale attività fisica. Al tempo zero, dopo 6 mesi e dopo 19+3 mesi, veniva eseguito il  6MWD (six-minute walking distance), che consiste nella misurazione della distanza che il paziente copre  in 6 minuti. Venivano misurate anche la sensazione di fatica e la HRQoL. Il gruppo che faceva esercizio fisico mostrò un netto miglioramento del 6MWD, del grado di affaticamento e del recupero dalla stanchezza post-dialisi.

Da questo, è nato l’EXCITE, che coinvolge 9 Centri Nefrologici in tutta Italia e conta di arruolare almeno 250 pazienti nel gruppo che fa esercizio e in quello di controllo. L’esercizio prescritto è lo stesso consigliato nello studio pilota [22]. Le valutazioni fatte al tempo zero, a 6, 18 e 36 mesi prevedono il 6MWD, il Sit-to-stand-to sit test (tempo necessario per completare 5 cicli di seduta/alzata da una sedia) e l’SF36, per studiare la qualità della vita. Si attendono quindi i risultati ormai imminenti dello studio EXCITE.

Anche un gruppo di Nefrologi toscani ha valutato gli effetti dell’esercizio fisico sui pazienti uremici, evidenziando significativi miglioramenti nutrizionali e della performance [23], [24], [25]. In particolare, i livelli di intensità dell’attività fisica si correlano positivamente con la composizione corporea e con l’introito nutrizionale [25]

Spazio alla fantasia

Per convincere i pazienti a vincere la sedentarietà, bisogna anche dare spazio alla fantasia. Riportiamo l'utile suggerimento di Nefrologi francesi ai loro pazienti in dialisi, invitandoli ad accudire un cane, portandolo fuori a camminare due volte al giorno. Hanno osservato che il numero di passi giornalieri dei pazienti (che è il più semplice parametro di riferimento per definire la sedentarietà) era nettamente aumentato, divenendo uguale a quello dei soggetti in buona salute. Quindi una cosa apparentemente semplice e praticamente alla portata di molti può risultare un’ottima motivazione all’attività fisica (figura 3) [26].

Considerazioni finali

In conclusione, possiamo dire che un numero crescente di lavori indica l’utilità dell’attività fisica per i pazienti con CKD di varia gravità e in dialisi, così come nei soggetti in buona salute. Affinché un programma di esercizio fisico sia clinicamente utile, deve essere sostenibile, applicabile e conveniente economicamente. Deve anche essere abbastanza semplice, tanto da consentire al paziente di farlo a domicilio, senza particolari attrezzature e competenze. Inoltre deve essere adattato in volume ed intensità all’età e alle comorbidità del paziente [26].

Infine, va considerato che la deambulazione è usualmente considerata la forma di esercizio meglio accettata, più facilmente applicabile e largamente raccomandata sia alle persone in buona salute che agli uremici in dialisi. 

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pubblicata il  06 giugno 2013 
Da Luigi Catizone
Parole chiave: esercizio fisico
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