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La Tribuna di Rombolà

Emodialisi domiciliare: un'opzione realmente credibile

Da qualche tempo e da più parti, si sente parlare della domiciliazione del trattamento emodialitico (HHD) come una inevitabile necessità.

Le ragioni di questo rinnovato entusiasmo sono diverse:

  • da alcuni viene sottolineato un importante risparmio,
  • altri pensano di migliorare la riabilitazione,
  • altri (proponendo la dialisi quotidiana) ritengono di migliorare l’efficienza dialitica e prevenire/ridurre i danni dell’uremia (ipertensione, ipertrofia ventricolare sinistra, iperfosforemia, ecc.).

Questa spinta non è solo italiana, altre nazioni stanno lavorando su questo progetto con l’obiettivo di raggiungere una quota significativa di pazienti. Quello che sorprende, ma che purtroppo caratterizza un pò noi nefrologi italiani, è l’improvvisazione e l’assenza di un progetto strutturato che analizzi seriamente i possibili vantaggi clinici, una rigorosa valutazione farmaco-economica, una valutazione del reale beneficio riabilitativo (sia lavorativo che sociale), una puntuale verifica della soddisfazione relativa al progetto terapeutico da parte del paziente. Ovviamente tutto sarebbe meglio se queste analisi fossero direttamente effettuate da una società scientifica come la SIN.

In letteratura ovviamente si parla di “home dialisi” intendendo sia la dialisi peritoneale che l’emodialisi. In molte nazioni esistono programmi di domiciliazione incentivati dove la domiciliazione raggiunge valori anche del 20% dei pazienti. In questo caso in percentuali variabili dal 60 all’ 80% dei casi di tratta di dialisi peritoneale (Canada, Olanda, Islanda, Finlandia, Danimarca, Austria, Nuova Zelanda, Messico, ecc). E’ parimente vero che in alcune di queste nazioni l’HHD raggiunge percentuali ragguardevoli: 16% Nuova Zelanda, 9.5% Australia, 4% Finlandia, 3% Svezia, 2.5% Olanda, 2% Inghilterra. Tuttavia la prevalenza della HHD in queste nazioni è sostanzialmente stabile da diversi anni. Le ragioni di questa scelta sono evidentemente legate o alla bassa densità abitativa oppure ad una completa rimodulazione delle tariffe di rimborso e quindi ad un reale contenimento dei costi. L’Inghilterra ha recentemente intrapreso un programma incentivato con l’obiettivo di raggiungere il 15%, vedremo. Bisogna inoltre ricordare che in letteratura con la sigla HHD, vengono indicate diverse cose: dalla domiciliazione vera con l’assistenza di un partener, alla costruzione di strutture territoriali con partners e una supervisione infermieristica, come erano all’origine i CAL in Italia.

Considerando il contesto economico in cui ci troviamo, individuare soluzioni tecnicamente percorribili e trovare delle soluzioni economiche vantaggiose e proporle in modo credibile a chi è chiamato a programmare la politica sanitaria, diventa un imperativo morale. Altrimenti ondate successive di “tagli trasversali” potrebbero nuovamente porci di fronte al dramma etico delle famose  “God-committees”.

Prima di dare risposte “emozionali” e per avviare una seria discussione bisogna sottolineare alcuni aspetti:

  • La terapia dell’uremia per i pazienti nella fascia d’età per cui la domiciliazione potrebbe rappresentare una scelta, è prioritariamente il trapianto, possibilmente prima di iniziare la dialisi. Quindi è su questo programma che bisognerebbe concentrarsi, visto anche l’andamento dei trapianti in Italia.
  • Nonostante numerosi convegni, dati che documentano sopravvivenza e qualità di vita, autonomia gestionale della terapia, incentivi da parte di alcune regioni, ecc., in Italia, la dialisi peritoneale (trattamento domiciliare con ampio know-how e di approccio decisamente più semplice, oltre che economicamente vantaggiosa rispetto all’emodialisi sia ospedaliera che domiciliare) ha raggiunto una diffusione cristallizzata da anni intorno al 10%.
  • Negli anni ’80, per la mancanza di posti dialisi, in alcune regioni d’Italia la domiciliazione dell’emodialisi è avvenuta in misura apprezzabile, questa esperienza è stata poi superata dai centri ad assistenza limitata (CAL). Le regione dove questo modello organizzativo è ampiamente diffuso sono la Lombardia, l’Emilia Romagna ei Piemonte, altrove questa esperienza è stata molto marginale. Questo è avvenuto sostanzialmente per due ragioni: da una parte perché si è ritenuto e si ritiene che le condizioni cliniche dei pazienti non siano tali da poter fare la dialisi fuori dall’ospedale, e dall’altra perché si è preferito moltiplicare le “strutture complesse”.
  • In ogni caso è evidente che la domiciliazione del trattamento dialitico (sia esso HHD che PD) dovrebbe essere una scelta libera del paziente, priva di qualsiasi forzatura. Periodicamente questa scelta dovrebbe essere verificata con il paziente e continuare solo se esistono evidenti vantaggi condivisi e garantire eventualmente la possibilità di una scelta terapeutica diversa.

Quindi, fatte queste premesse, e sottolineato che le improvvisazioni miracolistiche non sono un criterio valido per una società scientifica seria come la SIN, soprattutto quando si tratta di scegliere su come e dove investire risorse ed energie, le domande a cui dovremmo (come società scientifica) cercare di dare una risposta sono le seguenti:

  1. Cosa intendiamo per HHD?
  2. Quale tecnologia e quanta dialisi bisogna prescrivere per avere vantaggi e non rischiare la sottodialisi ?
  3. Come selezionare i pazienti a cui proporre la HHD?
  4. Definito e condiviso un percorso per la selezione dei pazienti, definiti gli indicatori di processo e di esito, definito un programma dialitico ottimale, dal punto di vista economico rappresenta realmente un vantaggio?
  5. Considerando che le tariffe di rimborso della dialisi hanno come base di calcolo  l’estensione temporale, l’impegno di risorse, la frequenza settimanale, la tipologia di trattamento, le caratteristiche del materiale utilizzato, il luogo fisico dove viene erogata, ecc. in questo caso la tariffa andrebbe adeguata (per es. una tariffa settimanale omnicomprensiva?)

Quando le notizie sulle strategie terapeutiche appaiono prima sui quotidiani che sulle riviste scientifiche (vedi “terapia Di Bella” oppure il più recente caso “stamina”) molto spesso appartengono al mondo della propaganda.

Non credo che la comunità nefrologica possa restare silente e non dare risposte rigorosamente scientifiche, 

Giuseppe Rombolà

Dir UOC-Nefrologia Dialisi e Trapianto, Varese

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release  1
pubblicata il  21 ottobre 2013 
Da Giuseppe Rombolà
Parole chiave: emodialisi domiciliare

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