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Presidente e CD SIN

L’outsourcing in dialisi

In questi ultimi anni si sente parlare sempre più spesso di outsourcing in dialisi o di esternalizzazione della dialisi. L'outsourcing è una parola inglese traducibile letteralmente in "approvvigionamento esterno". In pratica trasferendo il concetto dal mondo economico-industriale, una impresa nel fare outsourcing appalta all’esterno alcune fasi del processo produttivo.

Venendo alla dialisi che è una pratica terapeutica gestita dal Sistema Sanitario Nazionale e quindi una tipica prerogativa pubblica, fare “outsourcing della dialisi” vuol dire far gestire, appaltare la terapia dialitica ad un soggetto esterno che può essere una organizzazione multinazionale o un privato che gestisce processi e pratiche sanitarie. Naturalmente come la industria che appalta all’esterno la realizzazione di una parte del suo prodotto finale, anche il committente pubblico, che sia esso una Azienda Sanitaria o anche l’intero Sistema Sanitario di una Regione, deve assicurarsi che il prodotto fornito dalla Società privata, che prende in carico l’appalto, risponda a determinate caratteristiche di qualità. Pertanto il supporto privato nella dialisi deve prevedere un controllo da parte del pubblico e quindi specifiche convenzioni che ratifichino gli indicatori di processo e di qualità che devono essere rispettati. Gli indicatori devono essere soggetti a continuo monitoraggio ed è indispensabile uno stretto collegamento funzionale con un Centro Nefrologico pubblico. In presenza di serie problematiche cliniche del paziente, il Centro pubblico deve farsi carico del paziente e, solo alla loro risoluzione, deve rinviare il paziente nel Centro di provenienza. Tutto questo è essenziale perché il sistema non degeneri. Altrimenti, il fare profitto, che è alla base dell’imprenditoria privata, potrebbe prendere il sopravvento sulla cura e la tutela della salute che sono invece prerogative essenziali del Sistema Sanitario Pubblico. Purtroppo le derive possono essere molte e sempre in agguato. E’ pertanto indispensabile che il committente pubblico eserciti, come dicevo in precedenza, un continuo ruolo di controllore e che sia anche l’organo di indirizzo che guidi le scelte del privato nell’organizzazione e nella pratica clinica. D’altronde le scelte devono essere perfettamente in linea, in termini di efficacia e di risultati, con quanto ottenuto in un Sistema Pubblico altamente efficiente. Il privato che vuole svolgere la sua attività in dialisi deve perseguire obiettivi di salute nell’esclusivo interesse dei pazienti, assicurandosi il profitto solo attraverso l’efficientazione delle procedure senza minarne le qualità.

Il Sistema Sanitario Pubblico deve dal canto suo evitare di arrivare a situazioni di “monopolio privato” della dialisi. La dialisi è una terapia salvavita destinata a pazienti cronici ed occorre evitare il raggiungimento di livelli di diffusione del privato, tali da fare risultare il privato stesso indispensabile. L’indispensabilità potrebbe, a questo punto, riflettersi in maniera negativa sia sui costi (che potrebbero risultare imposti) sia sulla qualità che rischierebbe di peggiorare.

In conclusione è mia personale opinione che la dialisi per le sue prerogative resti in ambito pubblico per quanto possibile, assicurandone qualità, efficienza, umanità di rapporti e supporto sociale. Laddove si configurino situazioni che non permettano al pubblico di soddisfare la totalità della domanda, il privato di qualità può supplire, sempre secondo i principi della trasparenza, efficienza ed efficacia alle carenze ed alle necessità del Pubblico. In ogni caso in qualsiasi realtà, sia essa una Azienda Sanitaria Locale, una Regione, o l’intero Paese non andrebbero superate soglie di privato che non permettano al Sistema Pubblico di riprogrammare e riassorbire in qualsiasi momento la quota di dialisi appaltata ai privati, in tempi ed a costi ragionevoli, senza mettere in pericolo la salute dei pazienti. 

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pubblicata il  11 dicembre 2014 
Da Antonio Santoro
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