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La rete delle conoscenze nefrologiche

Lo spazio di discussione interattiva
Gli Infermieri e la Nefrologia

Il ruolo degli Infermieri in Nefrologia

Trovo l’analisi del dott. Di Pietro (De Pietro C - 2010 [1]) attuale, oggettiva e realistica. Dall’osservatorio  di cui  da anni seguo le vicende del’infemieristica di settore, mi spingerò anche “oltre” nelle conclusioni.

Sono componente dell’EDTNA/ERCA Italiana ed Europea. Sono una fautrice dell’europeismo culturale. Pur riconoscendone i limiti, ritengo che lo scambio di esperienze e conoscenza sia di gran lunga maggiore del disagio linguistico e del forzato riallineamento culturale che ne conseguono. 

Formazione & Ritenzione.

L’articolo cita il master di Udine. Vi sono state altre  università che hanno attivato sia master specifici, che di “area critica” con percorso nefrologico, come ad esempio Milano, dove però non si raggiunse mai il n. minimo di iscrizioni. E’ chiaro che gli infermieri che già lavoravano in dialisi – e mi si consenta,  nell’area milanese il campione è grande – non videro come interessante e necessario il master perché non avrebbero comunque cambiato il loro assetto lavorativo,, avendo usato tempo, fatiche e denaro per lo studio. Gli schemi organizzativi utilizzati nell’assistenza nefrologica in genere  sono obsoleti, non valorizzano le competenze esistenti, non stimolano quelle nuove, non evidenziano la complessità assistenziale gestita.

Un infermiere nefrologico può cominciare a dirsi tale almeno dopo un anno di lavoro: si parte dall’emodialisi, o dalla nefrologia, e poi ci si muove poi verso la dialisi peritoneale, il trapianto, gli ambulatori. Spesso i nuovi infermieri sono inseriti in contesti in cui appare come centrale solo la gestione del trattamento emodialitico; la dialisi peritonealeè un settore marginale, di nicchia, il trapianto non sempre è disponibile così pare che l’assistenza nefrologica si riduca alla sola seduta dialitica.

Da anni all’estero ci sono figure di competenza assistenziale specifica come:

  • il coordinatore degli accessi vascolari,
  • il referente per la gestione dell’EPO,
  • il personale dedicato per la DP,
  • il nursing primario come modello,
  • la continuità assistenziale,
  • il case management come strumenti.

I coordinatori/trici  hanno la fantastica posizione da cui possono indurre/sostenere  il  cambiamento, possono dare fiducia/responsabilità  ai loro infermieri, possono creare ruoli  clinici di  assistenza avanzata, possono riorganizzare i turni e creare percorsi di competenza professionale. Questo motiva gli infermieri, crea qualità, fa una grande differenza di esito clinico e di esito gestionale. Solo quando alcune competenze  di base sono assodate si può parlare infatti di gestione del rischio clinico, di apertura al territorio in rete con altri servizi, di domiciliarizzazione del trattamento, accreditamento all’eccellenza. 

La bibliografia disponibile evidenzia come siano le competenze riconosciute, strutturate, documentate, la maggiore componente di magnitudine di un servizio: i professionisti rimangono se vedono per loro uno spazio di crescita professionale non solo nella gestione organizzativa, ma anche nella gestione della complessità clinica, che nei nostri reparti certo non manca!

Nell’ambito della formazione & ritenzione del personale infermieristico i nefrologi italiani hanno in genere “speso poco”.Pochissimi, furono gli infermieri che  poterono intravedere alcune facilitazioni per la partecipazione al master.  Pochissimi i nefrologi che  supportarono l’iniziativa.

Non credo sia ancora molto chiaro ai dirigenti medici delle nefrologie che la qualità dei professionisti infermieri del loro servizio fa la grande differenza per i loro utenti e per il budget aziendale, e conseguentemente per la loro visibilità di qualità. Ho visto bravi e competenti colleghi lasciare il servizio  pubblico senza che venisse loro offerto nulla, neanche una riallocazione nei turni. Competenze che sono andate ai servizi “concorrenziali”, lasciando il servizio pubblico senza il know-how  storico ed esperienziale. IDirigenti medici hanno ancora la responsabilità e la forza contrattuale per scegliere nuovi modelli comportamentali aperti, rispettosi delle differenze, capaci di ascolto e di ampie visioni che possano fare la differenza nella vita professionale di chi ha la fortuna di incontrali.

Se è del nefrologo la diagnosi e terapia, é dell’infermiere la   cura (care) degli aspetti di globalità e/o specificità necessari alla persona: il sostegno, l’ educazione, il tempo per  l’accettazione di realtà di vita difficili, ma possibili. Se anche il nefrologo ha come scopo il benessere del paziente, attraverso una buona diagnosi ed una buona cura (cure), ha tutto l’interesse di affidare questo paziente nella mani di professionisti che lo assistano nella riorganizzazione della propria vita in funzione della diagnosi/malattia che ha subito e della terapia che deve seguire. 

Punti di riflessione e discussione

Le considerazioni , più o meno,  ardite  che sottopongo alla discussione sono le seguenti:

1. Cambiare i modelli di pratica assistenziale.

Esistono nei nostri reparti già ottimi infermieri, altri ne possono arrivare e rimanere se i dirigenti infermieri (coordinatori, sitra/ditra) avessero il coraggio e le competenze di riorganizzare il lavoro creando spazi di competenza clinica, percorsi di competenza avanzata, uso specifico di personale di supporto. Ora che il pensionamento è comunque lontano, la presenza di  un’età media della professione maggiore, permette l’attivazione di percorsi di competenze avanzate  sia in ospedale che in rete sul territorio, dove l’esperienza clinica serve tanto quanto la capacità di relazione, mediazione e risoluzione delle criticità, componenti chiave della professionalità infermieristica. Come nella professione medica, anche in quella infermieristica, la maturità professionale è necessaria.

2. Discutere le strategie gestionali con il  personale dirigente infermieristico.

Per migliorare i dati clinici, per contenere i costi, per affrontare nuovi progetti, per riallocare le competenza (task shift) le scelte vanno affrontate con chi deve,  in ultima istanza, applicarle. Nulla si fa in singolo oggi: siamo già tutti in rete, non possiamo negarlo... e” in rete” possiamo trovare  le soluzioni per tutto, o quasi tutto.

3. Sostenere la  formazione post-base in modo strutturato con l’attivazione dei master clinici.

Sono certa che se una compagine di nefrologi, di una certa regione, andasse nella competente università a chiedere  l’attivazione di un master, difficilmente questo sarebbe negato. Senza contare le strategie relazionali con  aziende/fondazioni/associazioni locali che potrebbero anche sponsorizzare  una parte del costo del master. L’EDTNA/ERCA ha pubblicato  già negli anni ’90, con revisione del 2003, un Core Curriculum post Base per l’infermieristica nefrologica  individuando argomenti, aree e modalità per la formazione avanzata: sono indicazioni utili  per la definizione di un programma di master clinico in infermieristica nefrologica. La Filiale Italiana, oltre a rendersi disponibile con consulenti e docenti,  ha anche ipotizzato un master che potrebbe essere erogato in modalità mista di lezioni a distanza (fad) e di momenti frontali, con tirocinio coordinato sul territorio nazionale con i maggiori centri nefrologici del paese. Tecnologie e conoscenze sono già ampiamente disponibili e questi percorsi formativi sono già attuati  in altri paesi.

4. Centralità assistenziale per la gestione del paziente cronico.

Ritengo che nell’ambito della cronicità, tipica dei nostri pazienti, ci sia ampio spazio per la gestione infermieristica di qualità. La continuità assistenziale (il paziente che ritorna, lo si conosce, lo si osserva), la competenza data dall’osservazione continua, dall’utilizzo di strumenti di report, dalla possibilità di relazionare con i care-givers presenti, la capacità di organizzare e attivare soluzioni pratiche,  l’uso di protocolli e procedure condivise, sono strumenti operativi già utilizzati. Gli infermieri  sono presenti  in  tutto  il percorso del CKD, dall’ambulatorio del pre-dialisi, al trapianto,  al  fine vita,  e non hanno sempre bisogno della genitoriale presenza medica, a volte più imposta che necessaria,  che potrebbe diventare cooperazione di strategia, di riferimento e rivalutazione della cronicità, nell’ambito di una rispettosa relazione tra professionisti  competenti.

5. Sostenere il riconoscimento di DRG di assistenza infermieristica specifica, ad oggi ancora inesistenti.

Cosa sarebbe una dialisi domiciliare senza training, senza consulenza telefonica, senza continuità di presenza; oppure un ambulatorio pre-dialisi o di follow up trapiantologico senza infermiere. Siccome non sarebbero possibili, ecco che diventa improrogabile avere una formalità di bilancio, a cui si possano  poi allocare posizioni economiche di competenza avanzata. Spesso queste competenze sono già presenti con infermieri che hanno master o lauree magistrali, le cui potenzialità si disperdono nel calderone del quotidiano. Conoscere il CV dei propri infermieri sarebbe una semplice ma strategica mossa per visualizzare nuovi scenari organizzativi ed amministrativi.

Naturalmente ci sono realtà di eccellenza. A loro le mie scuse per non poter  meglio specificare,  connotare e delimitare le affermazioni qui presenti.  Un grazie per esserci,  a dare speranze e orientamento a tutti noi.

 

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release  1
pubblicata il  23 marzo 2011 
Da Marisa Pegoraro
Parole chiave: dialisi, infermieri, nefrologia

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