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Best practice

Il catetere per dialisi peritoneale

Posizionamento del Vicenza "Short" Catheter

Roberto Dell’Aquila – U.O. Nefrologia e Dialisi – Ospedale “San Bassiano” – Bassano del Grappa (VI) 

Introduzione

In un programma di dialisi peritoneale (DP) l’accesso alla cavità rimane uno dei punti più importanti, per la sopravvivenza della tecnica  [1], [2] e, come sappiamo, la dislocazione o l’infezione del catetere sono le principali cause di fallimento della metodica [3]. L’esperienza qui riportata fa riferimento a circa 1100 posizionamenti, del Vicenza "Short" Catheter (VSC), con tecnica chirurgica a “cielo aperto”. 

Revisione della letteratura 

Il VSC è una versione modificata del classico Tenckhoff in silicone rettilineo a doppia cuffia, con un breve segmento intraperitoneale (8 cm invece dei 15 cm del catetere Tenckhoff classico) [Figura 1] [4], [5]. La distanza tra le cuffie in dacron è di 5 cm ed esse hanno una lunghezza di 1 cm.    

Nel 2006 è stata effettuata un'analisi retrospettiva sulla sopravvivenza e la funzione del VSC [6] utilizzato fin dal 1982. Sono stati considerati 20 anni, dal 1985 al 2005, durante i quali erano stati posizionati 726 cateteri “Short” (Braun Carex, Mirandola, Italia). I posizionamenti erano stati eseguiti da nefrologi e solo alcuni erano stati effettuati in collaborazione con i chirurghi, in anestesia generale, per motivi clinici.  

Pur non derivando da dati di lavori di confronto né da linee guida, è opinione di alcuni Autori che una buona sopravvivenza del catetere debba essere intorno al 90 - 95% a due anni [7], [8], mentre altri sostengono che già sia buona se non è inferiore all’80% ad un anno [9], [10]. Il VSC, nella nostra analisi, ha evidenziato una sopravvivenza superiore (94,3% a 2 anni e 91,5% a 5 anni). Tale sopravvivenza elevata è probabilmente dovuta all’attenzione nella cura dell’exit-site, all’uso dell’ecografia dell’exit e del tunnel e all'inizio precoce del trattamento delle infezioni al fine di prevenire complicanze maggiori.

L’andamento delle infezioni dell’exit-site e delle rimozioni del catetere ha mostrato un trend in netta riduzione durante i 20 anni di valutazione a dimostrazione che l’acquisizione di una buona esperienza chirurgica ed una sempre più attenta cura dell’exit-site sono i fattori più importanti nel ridurre l'incidenza di complicanze infettive e di rimozione del catetere.

La dislocazione del catetere è un’altra delle cause di rimozione [3], ed è proprio per cercare di prevenire questa complicanza che è nata l’idea (elaborata dal Dr. Stefano Chiaramonte a Vicenza) che ha portato al disegno del VSC che, a causa del segmento intraperitoneale più corto, risulta avere una elasticità relativa ed una capacità di flessione minori e, di conseguenza, una inferiore possibilità di migrazione. Nella nostra casistica, sopra citata, il tasso di dislocazione era del 4% [6].

Infine, in un sondaggio, i pazienti hanno dichiarato una buona accettazione del catetere (body image) (98%) ed una vestibilità eccellente (100%) [6].

Tecnica 

La sera prima dell’intervento il paziente esegue la doccia, viene depilato nella zona interessata dall’intervento, viene praticata terapia antibiotica a scopo profilattico e viene eseguito clistere evacuativo. La mattina dell’intervento, nei pazienti a diuresi conservata, viene inserito un catetere vescicale con urinometro che viene rimosso a conclusione dell’intervento: questa pratica è dettata dal fatto che il punto di accesso al peritoneo è più basso e quindi conviene mantenere la vescica vuota (minor volume) al fine di evitare di inciderla accidentalmente durante l’intervento. Poiché la branca intraperitoneale è più corta, rispetto a quella del classico Tenckhoff,  il sito d'impianto è situato 5 cm al di sopra della sinfisi pubica ai lati della linea alba [Figura 2].

Una volta individuato il punto d’inserzione si procede all’anestesia della zona interessata e, successivamente, all’incisione cutanea con bisturi a lama per un tratto di circa 1,5 – 2 cm in senso cranio-caudale; si procede poi, con il bisturi elettrico e/o con forbice smussa, all’incisione/apertura dei tessuti sottocutanei fino ad incontrare la fascia anteriore del muscolo retto anteriore; si afferra la fascia con due pinze Klemmer e si incide delicatamente con il bisturi a lama fino alla sua apertura.

Eseguita questa operazione, si scolla la fascia dal muscolo con una forbice smussa in senso cranio-caudale; si procede quindi al taglio della fascia ponendo attenzione a non ledere le fibre muscolari; si introduce delicatamente una pinza Pean nei fasci muscolari e si procede alla loro divaricazione in senso latero-laterale fino ad incontrare il grasso pre-peritoneale ed infine il peritoneo; questo apparirà come una membrana di colore biancastro e di consistenza variabile da sottile membrana quasi trasparente a membrana più consistente e di colore bianco translucido (attenzione a non confonderla con la fascia muscolare posteriore). La pinzatura del peritoneo normalmente provoca dolore al paziente e pertanto esso va infiltrato con circa un ml di anestetico.

Afferrato con due Pean il peritoneo ed accertato che non vi siano altre strutture al di sotto di esso, si procede alla sua incisione con forbici smusse [Figura 3]: si apre un foro che da adito alla cavità addominale [Figura 4]. È buona norma introdurre una pinza lunga con le branche chiuse al fine di valutare la pervietà della cavità [Figura 5]: una volta fatto questo, si pinzerà il peritoneo con quattro Pean in modo da avere la possibilità di sollevarne il bordo; con un filo PolysorbÒ 3-0 (Tyco) riassorbibile si procede alla costruzione della cosiddetta “borsa di tabacco” che consiste nell’entrare ed uscire dalla parete del peritoneo in modo da ottenere, alla fine, i due capi del filo di sutura all’esterno della parete [Figura 6].

A questo punto si prepara il catetere bagnando e spremendo le cuffie in soluzione fisiologica  eparinata [Figura 7], si inietta soluzione eparinata nel lume del catetere, lo si arma con l’apposita guida in acciaio (introduttore) [Figura 8] lasciando gli ultimi 5 millimetri liberi, in modo da non ledere eventuali organi durante l’introduzione in cavità. L’introduzione del catetere deve essere fatta con delicatezza cercando la via più libera, ovvero che non determini resistenze; si indirizza la punta dello stesso verso lo scavo del Douglas cercando di dirigerla leggermente verso la sinistra del paziente in modo che, in caso di migrazione, il moto in senso orario della peristalsi intestinale, stimolata con lassativi, possa riportare la punta in posizione ottimale.

La prima cuffia rimane all’esterno del peritoneo e, a questo punto, si fa un nodo doppio con i capi del filo utilizzato per il confezionamento della “borsa di tabacco” e si stringe quindi il peritoneo intorno al catetere [Figura 9]: per sicurezza si eseguono altri 4 nodi singoli e successivamente si ancora il catetere eseguendo 4 nodi sopra la cuffia. Si infondono 50 - 100 ml di soluzione dializzante con una siringa per valutare la funzionalità del catetere e si controlla l’urinometro per essere certi di non avere, inavvertitamente, inserito il catetere peritoneale in vescica.

 Si procede successivamente alla sutura a punti separati, in senso caudo-craniale, della fascia muscolare con filo PolysorbÒ 0 (Tyco) riassorbibile; l’ultimo punto, il più alto, viene dato partendo dal lato del catetere [Figura 10 , Figura 11] in modo da spingere il catetere verso il basso, affinchè la punta dello stesso possa restare in posizione. Si monta lo stiletto tunnellizzatore e si procede all’esecuzione del tunnel sottocutaneo con l’avvertenza di eseguire una curva dolce e di posizionare la seconda cuffia (sottocutanea) a circa 1,5 - 2 cm di distanza dall’emergenza cutanea. Una volta forata la cute con lo stiletto è buona norma estrarlo con un movimento di rotazione alternata sinistra-destra in modo da allargare leggermente il foro di uscita, facilitando in tal modo il drenaggio all’esterno del materiale necrotico creatosi durante la tunnellizzazione [Figura 12 , Figura 13].

Alcuni anni fa  [11] abbiamo valutato un totale di 27 esami radiografici diretti dell’addome eseguiti per malfunzionamento del catetere peritoneale e abbiamo osservato che i cateteri con exit-site sul lato sinistro dell'addome (18/27) avevano un più alto tasso di migrazione irreversibile rispetto a quelli con l'uscita sul lato destro (9/27). I secondi potevano essere meglio riallocati dopo enhancement della peristalsi grazie al movimento in senso orario della peristalsi il quale permette alla punta del catetere di spostarsi verso il basso. Per questo motivo è preferibile, secondo la nostra esperienza e con questo tipo di catetere, eseguire l’exit-site a destra.

Ultimata la tunnellizzazione si procede alla sutura per strati della ferita chirurgica. Il tempo di esecuzione dell’intervento è in media, in assenza di complicanze, di circa 20 minuti. 

Discussione 

Il VSC è una valida alternativa agli altri tipi di catetere per DP. I vantaggi principali che si hanno con il suo utilizzo, e che possono giustificare la sua scelta rispetto ad altri tipi di catetere in un programma di DP o anche solo nel singolo paziente sono:

  • Una probabile ridotta incidenza di dislocazione;
  • un drenaggio più completo del liquido di dialisi;
  • una migliore vestibilità ed accettazione da parte del paziente dovute al fatto che, a causa della sua posizione, esso e la medicazione risultano meglio occultabili sotto gli indumenti.

BibliografiaReferences

[1] Gupta B, Bernardini B, Piraino B. Peritonitis associated with exit site and tunnel infections. Am J Kidney Dis 1996; 28: 415-19.

[2] Moreiras Plaza M, Cuina L, Goyanes GR, Sobrado JA, Gonzalez L. Mechanical complications in chronic peritoneal dialysis. Clin Nephrol 1999; 52: 124-30.

[3] Dell’Aquila R, Rodighiero MP, Bonello M, Ronco C. Condition leading to catheter removal or substitution. Contrib Nephrol 2004; 142: 435-46.

[4] Tenckhoff H, Schechter H. A bacteriologically safe peritoneal access device. Trans Am Soc Artif Intern Organs 1968; 14: 181-3.

[5] Chiaramonte S, Feriani M, Biasioli S, Bragantini L, Brendolan A, Dell’Aquila R, Fabris A, Ronco C, La Greca G. Clinical experience with short peritoneal catheters. Proc Eur Dial Transplant Assoc Eur Ren Assoc 1985; 22: 426-30.

[6] Dell’Aquila R, Chiaramonte S, Rodighiero MP, Di Loreto P, Spanò E, Nalesso F, Cruz D, Kuang D, Ronco C. The Vicenza “Short” peritoneal catheter: a twenty year experience. Int J Artif Organs 2006; 29(1): 123-7.

[7] Eklun BH, Honkanen EO, Kala AR, Kyllonen LE. Peritoneal dialysis access: prospective randomized comparison of the Swan neck and Tenckhoff catheters. Perit Dial Int 1995; 15: 353-6.

[8] Eklun BH, Honkanen EO, Kyllonen LE, Salmela KT, Kala AR. Peritoneal dialysis access: prospective randomised comparison of single cuff and double cuff straight Tenckhoff catheters. Nephrol Dial Transplant 1997; 12: 2664-6.

[9] Gokal R, Alexander S, Ash S, Chen TW, Danielson A, Holmes C, et al. Peritoneal catheters and exit-site practices toward optimum peritoneal access. Perit Dial Int 1998; 18(1):11-33.

[10] Flanigan M, Gokal R. Peritoneal catethers and exit-site practices toward optimum peritoneal access: a review of current developments. Perit Dial Int 2005; 25: 132-9.

[11] Dell’Aquila R, Chiaramonte S, Rodighiero MP, Spanò E, Di Loreto P, Kohn CO, Cruz D, Polanco N, Kuang D, Corradi V, De Cal M, Ronco C. Rational choice of peritoneal dialysis catheter. Perit Dial Int 2007; 27: S119-25.

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release  1
pubblicata il  28 settembre 2012 
Da Stefano Santarelli
Parole chiave: Vicenza
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