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Lo spazio di discussione interattiva
Outsourcing in Nefrologia

G. Rombolà

Nefrologia Ospedale S.Andrea - La Spezia

Outsourcing & dialisi: quando la cura è peggiore della malattia

Cinque sei anno orsono la SIN fece un’amara riflessione: la Nefrologia sta perdendo ruolo e importanza nella gestione del paziente nefropatico; questa perdita di identità è talmente grave che potrebbe comportare il rischio della scomparsa della Nefrologia stessa; abbiamo bisogno di una strategia valida che ci permetta di riappropriarci di quello spazio che altri ci stanno togliendo.

Si decide di commissionare al Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale (CERGAS) dell’Università Bocconi di Milano e al Centro Universitario di Studi in Amministrazione Sanitaria (CUSAS) dell’Università di Firenze, la cui competenza e professionalità sono indiscusse, uno studio approfondito e l’individuazione della ricetta per ritrovare la stella polare.

Il conclave si apre in un clima di enorme disperazione. Tuttavia la smisurata fiducia nella competenza dei “tecnici“ e la grande apertura al nuovo che avanza (outsourcing), lasciano sperare bene. Il conclave dura 5 anni (il Concilio Vaticano II durò 3 anni e mezzo).

In questi 5 anni l’attività dei “tecnici” è frenetica: vengono organizzati dei gruppi di autocoscienza (i Presidenti delle sezioni regionali vengono convocati a Roma), vengono effettuate indagini sul campo (interviste ad alcuni direttori generali degli ospedali, i quali notoriamente sono profondi conoscitori delle specificità delle specialità mediche), viene ordinata l’impietosa dissettazione di sei reparti nefrologici italiani (distillato organizzativo della complessità che sottostà alle scelte programmatorie e strategiche della sanità italiana). Dopodiché l’oracolo pronuncia l’impietoso verdetto: la nefrologia non ha futuro! meglio chiudere e affidare la dialisi ad altri.

D’altra parte si sa i tecnici sono cinici e la loro analisi è chiara “se non siete dei veri leader in un contesto che cambia velocemente, sarete gregari”!

Non solo, ma avendo constatato che i nefrologi si applicano molto e tuttavia con modesti risultati; non hanno ritenuto opportuno neanche consigliare: studiate di più, lavorate di più, mettetevi in gioco di più e non consideratevi il sale della terra, gestite bene i vostri reparti e impegnatevi affinché l’emodialisi (e la nefrologia) appartengano alle “core competencies”  della sanità pubblica (espressione presa dal commento del drGiuseppe Remuzzi, del quale condivido ogni singola parola), perché non ci sono investiture divine e i ruoli sono di chi li riveste e ha le competenze.

D’altra parte cosa ci si poteva aspettare, i tecnici non hanno cuore! Hanno studiato e conoscono il significato profondo della tautologia, cioè quando il predicato ripete quanto già espresso dal soggetto che per estensione, nel nostro caso, l’affidatario ripete quanto richiesto dal committente: avete dato in outsourcing la vostra strategia di “rinnovamento” noi vi consigliamo l’outsourcing della vostra attività. Che tradotto in volgare, se non sapete cosa fare, siete inutili !

Mi permetto di aggiungere alcune considerazioni pratiche

La dialisi per acuti e in regime di ricovero.

In un contesto dove la dialisi è gestita da una società for profit, i pazienti ricoverati per problematiche intercorrenti e/o acuti chi li dializza? (in un contesto molto orientato come gli USA, i pazienti acuti nei primi tre mesi di dialisi e i pazienti ricoverati, non sono accettati dalle compagnie for profit). Quindi al pubblico resta la “bad company” (spesa per acuti e gestione dell’urgenza), e al privato la “good company” (pazienti stabili che non danno problemi). Per capire i conflitti che sul lungo periodo potrebbero emergere leggete questi articoli apparsi qualche tempo fa sul New York Times e sul Bollettino del Grady Hospital di Atlanta:

E’ evidente che a questo punto la nefrologia pubblica ospedaliera non avrebbe alcuna ragione d’esistere. Basterebbe qualche specialista convenzionato esterno come semplice supporto ai Medici di Medicina Generale.

Le voci di spesa.

Le principali voci di spesa della dialisi in ordine d’importanza sono il personale, i trasporti, il materiale disposable, la farmaceutica (l’ordine di quest’ultime due voci è discutibile) e l’acquisto da altri reparti di prestazioni e consulenze, il ribaltamento dei costi comuni (overhead).    

  1. In un’ipotesi di outsourcing “all’italiana”, a meno di aumentare pericolosamente il rapporto fra numero pazienti e infermieri (come sottolineava Remuzzi) sulla voce personale si può “guadagnare” poco;
  2. I trasporti ovviamente resterebbero a carico della sanità pubblica !
  3. Sicuramente per l’aggiudicatario dell’outsourcing sarebbe vantaggioso (rispetto al pubblico) l’approvigionamento del materiale disposable perché direttamente prodotto e l’acquisto dei farmaci (resta una grossa incognita su chi decide realmente la strategia terapeutica, trapianto compreso e la scelta dei farmaci). Una voce di possibile risparmio, ma che si spera non entri nel computo delle percentuali rilevanti, potrebbe essere la riduzione dell’”acquisto”, da altri reparti, di prestazioni e consulenze.
  4. La voce dove esiste un margine operativo importante può essere la riduzione a meno del 10% (contro un attuale 20-30%) dei costi di gestione (overhead). Questo vuol dire semplicemente togliere la dialisi dalla ripartizione delle spese di gestione dell’ospedale, e dare ad una organizzazione “for profit” la possibilità di guadagno comprimendo il costo di gestione. E’ evidente che, se l’ente pubblico non migliora l’efficienza gestionale/amministrativa, il resto dell’attività sarà gravato da una quota di ripartizione dei costi overhead superiore! Dov’è l’utilità per l’ente pubblico? Viceversa, vedo auspicabile che i nefrologi si facciano promotori presso le regioni di un modello gestionale che preveda la dialisi affidata ad una fondazione appositamente costituita, con personalità giuridica propria, che faccia da garante finanziario, con la partecipazione della stessa regione e altri soggetti comunque operanti nel “terzo settore”, quindi per definizione non profit e con vincolo statutario di reinvestire in prevenzione l’eventuale attivo di gestione. In questo caso tutta l’attività clinica sarebbe affidata dalla fondazione all’ente pubblico, con rapporto appositamente regolato da accordi fra l’ente pubblico stesso ela fondazione. E quindi dare corpo a quell’ipotesi di “sperimentazione gestionale” come previsto dall’articolo 9/bis della legge 502/92. Questa ipotesi permetterebbe di tenere nel circuito della sanità pubblica tutti i finanziamenti ad essa destinati e non distrarre fondi (cioè il margine operativo della società for profit) dalla sanità pubblica verso altri interessi.

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release  1
pubblicata il  01 ottobre 2012 
Da Giuseppe Rombolà
Parole chiave: outsourcing

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