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La rete delle conoscenze nefrologiche

Vol. 14 - 1997

n. 6 - novembre-dicembre

  • Quarant'anni della nefrologia italiana: una testimonianza (Editoriale)
    L. Migone
  • Evidence based medicine e nefrologia (Attualità Mediche)
    P. Dri, C. Zoccali, A. Pema, P. Ruggenenti, G. Remuzzi, M. Postorino
  • Attivazione della fase contatto e reazioni da ipersensibilità in dialisi: ruolo fondamentale del pH e della diluizione del sangue
    J.L. Renaux, T. Crost, N. Loughraieb, G. Vantard, F. Guarnieri, M. Atti

    Antefatto. Alcune reazioni da ipersensibilità (HSR) in pazienti dializzaticon vari tipi di membrane e trattati con ACE inibitori, sono state messe in relazione con l'attivazione della fase di contatto. E' stato proposto inoltre, un effetto 'Centro' per spiegare la rarità e l'eterogeinetà con cui le HSR si verificano. Metodi. Per determinare in vitro il meccanismo biologico che scatena queste reazioni e l'eventuale ruolo di cofattori (diluizione e pH) è stato perfuso del plasma umano povero in piastrine diluito (PPP) l:20 in soluzione fisiologica attraverso mini-dializzatori costruiti con differenti membrane Poliacrilonitrile (PAN DX e PAN) prodotta dalla ditta Asahi (Giappone), AN6915 prodotta dalla ditta Hospal (Francia) Polimetilmetacrilato (PMMA), prodotta dalla ditta Toray (Giappone), Cuprophane (CUP) prodotta dal la ditta Akzo (Germania) e Polysulfone (PS) prodotta dalla ditta Fresenius (Germania). E' stato poi modificato il pH del plasma diluito per valutare l'influenza di questo parametro. L'attivazione del sistema della fase contatto e di quello delle bradichinine sono stati rispettivamente valutati mediante la determinazione delle callicreine plasmatiche libere (KK) e delle bradichinine plasmatiche. Risultati. Dopo 10 minuti di circolazione di PP diluito (pH 7.1, pCO2 > 10 mmHg) attraverso i mini moduli, i livelli plasmatici massimi di callicreine (UKK/L) erano (media±DS, n=4): 90±15 su PA DX, 63±12 su PAN, 60±13 su AN69 e inferiore a 10 su PMMA, CUP, e PS. Modificando il pH della soluzione plasmatica prima di introdurla nei minimoduli in AN69, la generazione di KK era: 49±5 UKK/L a pH 7.1; 18±5 UKK/L a pH 7.4 (p>0.05 vs. pH 7.1) inferiore a 10 UKK/L a pH 7.6 e pH 7.8. I valori plasmatici di bradichinine in vitro confermano questi andamenti. Utilizzando nel priming e nel lavaggi dei mini moduli una soluzione di NAHCO3 che man teneva il pH del plasma diluito ad un livello > 7.4 non si osservava più alcuna attivazione dei sistemi delle bradichinine e della fase contatto. Conclusioni. a); la generazione di bradichinine l'attivazione della fase contatto in vitro sono fenomeni dipendenti dal pH, le membrane testate sono capaci di attivarli solo se il pH >7.4; b) trasferendo questa evidenza in un ambito clinico, l'eterogenità dei dati epidemiologici potrebbe essere spiegata considerando che un piccolo abbassamento del pH può provocare un drammatico incremento nella generazione di callicreine; c) alla luce di questi risultati in vitro, che richiamano report clinici già apparsi nel 1977, sarebbe possibile mettere in relazione HSR e pH del plasma diluito; d) è possibile eliminare l'attivazione della fase contatto e le reazioni ad esse collegate mantenendo il pH del plasma >7.4 durante tutte le fasi iniziali del trattamento, utilizzando NaHCO3 nel lavaggio degli emodializzatori e ritardando la connessione del dialisato. (Giorn It Nefrol 1997; 14: 367-378)

  • Confronto tra bicarbonato e salina come soluzione di priming del dializzatori: effetto sul pH e sulla pCO2, del sangue diluito
    G. Lindner, G. Bergonzi, J.L. Renaux, F. Guamieri, A. Atti, M. Bacchi, P.P. Borgatti, L. Cristinelli

    La preparazione del dializzatore (priming) è la fase più delicata del trattamento emodialitico in quanto da essa possono dipendere reazioni avverse immediatamente dopo il collegamento ai circuito extracorporeo (HSR). Sono state avanzate diverse ipotesi sulle cause di tali reazioni tra cui: presenza di residui di sterilizzante (EtO) nel dializzatore; backfiltration nel sangue del paziente di frammenti di endotossine dal dialisato. Recentemente è stato proposto un ruolo del pH del plasma sull'attivazione della fase contatto nei primissimi minuti di trattamento emodialitico. Scopo di questo studio è caratterizzare il pH e la PC02 del sangue e nella fase di priming del dializzatore e di avvio della dialisi verificando l'influenza di differenti procedure di lavaggio e riempimento su questi parametri. Metodi: Sono stati misurati, in 14 pazienti emodializzati, il pH e la PC02 del sangue del paziente (PB) e del dialisato (DD) durante i primi minuti di circolazione extracorporea dopo priming con salina (S) o con bicarbonato (BIC), utilizzando per entrambi sia la procedura di priming standard che quella BioPrime® (BPK). Risultati: Utilizzando il BPK, il pH e la pCO 2 del PB diluito in uscita dal dializzatore risultano maggiori quando il priming viene effettuato con BIC rispetto a S (pH= 7.74 0.1 vs 7.32 ± 0.1; p>0.05; PC02= 98 ± 28 vs 4 ± 1 mmhg; p>0.01), mentre nessuna differenza apprezzabile è stata riscontrata su PB intero. La procedura di priming standard dà origine a valori più alti quando viene utilizzata la soluzione BIC rispetto a S (pH= 7.28 ± 0.06 vs 7.19 ± 0.07; n.s. pCO2= 82 ± 14 vs 79 ± 11 mmHg; n.s.). il valore del pH rimane comunque inferiore a quello fisiologico. In generale, confrontando i valori all'ingresso ed all'uscita del dializzatore si osserva un significativo aumento (p>0.001) del pH e ad una diminuzione della pCO2 del DD, a seguito della diffusione di CO2 dal DD al lato sangue. Utilizzando la procedura BPK (sia con soluzione S che con BIC), i valori di pH del PB venoso diluito sono significativamente maggiori di quelli ottenuti con la tecnica standard, rispettivamente: 7.32 ± 0.1 vs 7.19 ± 0.07 (p>0.05) e 7.74 ± 0.1 vs 7.28 ± 0.06 (p>0.001). Conclusioni: (i) il pH dei PB diluito all'uscita del dializzatore può risultare >7.2 usando S nel priming; (ii) i valori medi all'ingresso del dializzatore del pH e della pCO2 del DD sono 7.26 e 76 mmHg; (iii) l'uso contemporaneo di BIC e dei BPK permette di mantenere il pH>7.4 durante il contatto tra il PB diluito ed il circuito extracorporeo; (iv) questa prassi permette di ritardare il contatto tra sangue e DD evitando così l'acidificazione del sangue dovuta al transfert di CO2 dal DD al sangue. Sulla base delle ultime segnalazioni comparse in letteratura l'uso contemporaneo del BIC e del BPK, mantenendo il valore dei pH del sangue diluito ad un livello >7.4, dovrebbe consentire di evitare reazioni legate all'attivazione della fase contatto. Sarà comunque necessario un adeguato studio clinico per confermare questa ipotesi. (Giorn It Nefrol 1997; 14: 379-387).

  • Angina silente in pazienti uremici dializzati: studio di comparazione tra carvedilolo e diltiazem
    G. Cice, A. Di Benedetto, D. Aquino, E. Tagliamonte, L. Ferrara, P. Sorice, A. Iacono

    Nel nostro studio abbiamo valutato insorgenza e ritmo circadiano degli episodi ischemici, sintomatici e silenti, in pazienti uremici emodializzati affetti da cardiopatia ischemica, verificando efficacia terapeutica e tollerabilità di carvedilolo e diltiazem. Nel periodo aprile '94 - febbraio '96 abbiamo selezionato 60 pazienti uremici emodializzati (37 M/23 F, età 52 ± 4 anni), affetti da cardiopatia ischemica, che presentassero almeno 5 minuti di ischemia nelle 48 ore. Sia il carvedilolo che il diltiazem hanno ridotto in maniera significativa il numero e la durata degli episodi ischemici totali, mentre solo il carvedilolo si è dimostrato efficace nei confronti dell'ischemia silente. L'analisi del ritmo circadiano ha mostrato due picchi di ischemia nelle 24 ore. Entrambi i picchi sono stati ridotti dal carvedilolo. Il diltiazem, invece, pur riducendo il numero totale degli episodi ischemici, non ne ha modificato l'andamento circadiano. Entrambi i farmaci sono stati ottimamente tollerati. Discussione: il carvedilolo può essere considerato farmaco da preferire, in pazienti uremici dializzati, per la sua buona tollerabilità e notevole efficacia nell'agire, ai dosaggi usati, sia sull'ischemia sintomatica che su quella silente, e per la capacità di modificare l'andamento circadiano degli eventi ischemici annullandone i due picchi nel corso della giornata. Inoltre la dose di diltiazem generalmente usata in pazienti sottoposti a trattamento emodialitico periodico a causa delle temute crisi ipotensive intradialitiche è probabilmente troppo bassa per proteggere efficacemente i pazienti dall'ischemia silente. (Giorn It Nefrol 1997; 14: 389-396).

  • Perforazione dell'intestino tenue in corso di dialisi peritoneale (Caso Clinico)
    C. Basile, R. Giordano, A. Montanaro, F. De Padova, A.L. Marangi, V.A. Ligorio, D. Santese, A. Semeraro

    La perforazione intestinale è una complicazione piuttosto rara della dialisi peritoneale (PD). Essa è associata ad una mortalità superiore al 30% e ad una significativa morbidità, specialmente nei pazienti anziani. Riportiamo il caso di un paziente di 50 anni in trattamento PD che ha avuto la perforazione dell'intestino tenue 46 mesi dopo l'inserzione del catetere di Tenckhoff. Un episodio peritonitico con positività per E. coli portò a rimozione del catetere peritoneale dopo 5 giorni di terapia antibiotica senza successo. Vi fu un discreto miglioramento dello stato clinico, cui seguì un peggioramento; l'addome fu sempre trattabile, non teso, ma disteso; l'alvo aperto ai gas e alle feci. Un Rx dell'addome dimostrò abbondante aria sottodiaframmatica; un'ecografia addominale rivelò abbondante versamento libero endoperitoneale, corpuscolato. Fu eseguita una laparotomia esplorativa 3 settimane dopo la rimozione dei catetere peritoneale, che evidenziò una soluzione di continuo di 1 cm in un'ansa ileale a 20 cm dalla valvola ileo-cecale; il tratto interessato fu resecato ed un'anastomosi termino-terminale fu eseguita. Il paziente apparve recuperare bene, ma in settima giornata comparve materiale bilio-fecale nel drenaggio posto nello scavo del Douglas. Alla relaparotomia, fu trovata una deiscenza dell'anastomosi ileo-ileale in sede posteriore; fu chiuso il moncone distale ed effettuata un'ileostomia terminale. Anche questa volta il paziente apparve recuperare bene; ma, in quinta giornata post-secondo intervento la situazione clinica precipitò in un quadro di shock settico accompagnato da coagulazione intravascolare disseminata che portò a morte il paziente. In conclusione, i seguenti punti vanno sottolineati: il quadro clinico della perforazione intestinale nel paziente in trattamento cronico di PD può essere estremamente subdolo, poiché il lavaggio continuo della cavità peritoneale e l'infusione intraperitoneale di antibiotici possono diminuire la sintomatologia acuta vista usualmente in questi pazienti; un alto indice di sospetto di perforazione intestinale deve essere evocato, particolarmente in presenza di peritonite da E. coli; la laparotomia esplorativa deve essere eseguita ad uno stadio precoce, ogni qualvolta la perforazione intestinale entra nella diagnosi differenziale. (Giorn It Nefrol 1997; 14: 397-401).

  • Acidosi lattica da fenformina: un problema sottovalutato (Caso Clinico)
    G. Enia, M. Garozzo, C. Zoccali

    E' noto fin dagli anni '60 che la fenformina può determinare grave acidosi lattica nei pazienti diabetici con insufficienza renale. Per questo motivo, negli anni '70, il farmaco è stato ritirato dal commercio negli Stati Uniti e in molti paesi europei. In Italia il farmaco è ancora in commercio e in questo articolo sono descritti due pazienti con insufficienza renale cronica che hanno sviluppato severa acidosi lattica mentre erano in trattamento con una associazione di glibenclamide e fenformina.

  • Sindrome HELLP puerperale: risposta terapeutica all'infusione di plasma fresco (Lettera alla Redazione)
    D. Docci, A. Vallicelli, L. Baldrati, C. Capponcini, F. Facchini, A. Giudicissi, C. Feletti
  • Guglielmo da Saliceto e la medicina renale medioevale (Annotazioni Storiche)
    C. Campieri, M.C. Gregorini, M.R. Moschella, V. Bonomini
  • Recensioni
  • Riunioni e Congressi
  • Indice degli Autori del vol. 14
  • Indice degli Argomenti del vol. 14


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