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La rete delle conoscenze nefrologiche

Vol. 15 - 1998

n. 2 - marzo - aprile

  • Malattia di von Happel-Lindau: patologia autosomica dominante a decorso infausto se diagnosticata tardivamente (Editoriale)
    A. Sessa, M. Meroni, E. Conte

    Riassunto non disponibile

  • Biofeedback e controllo del volume ematico durante emodialisi
    A. Santoro, E. Mancini, E. Paolini, G. Cavicchioli, A. Bosetto, P. Zucchelli

    L'ipovolemia è uno dei numerosi fattori eziopatogenetici che possono dar luogo all'insorgenza di ipotensione arteriosa nel corso della terapia dialitica. Al fine di facilitare un controllo accurato e continuo delle variazioni del volume ematico (BV) abbiamo sviluppato un sistema in feedback, basato su un controllore adattativo. Il sistema automatico realizza un controllo ad ansa chiusa a più variabili di ingresso e di uscita. Le variazioni relative del BV in corso di emodialisi (HD) vengono calcolate in continuo da un biosensore che misura, tramite assorbanza ottica, le variazioni di concentrazione della emoglobina. Due parametri macchina, l'ultrafiltrazione (Qf) e la conducibilità (CD) vengono continuamente aggiornati e modificati dal controllore al fine di minimizzare ogni discrepanza fra i target ideali e i valori ottenuti nel corso del trattamento sia del BV che del calo ponderale del paziente (CP). Il sistema di controllo (BVT) gestisce tre tipi di errore: errori nel BV, nel CP e nel bilancio di sodio. Quest'ultimo è controllato da un modello cinetico dedicato che calcola continuamente la CD equivalente. Questa grandezza è una entità teorica che, in dialisi a controllo automatico del VE corrisponde alla conducibilità che si ha in dialisi tradizionale con Qf costante.
    La capacità del BVT nel dominio delle variabili da controllare e nella ottimizzazione della tolleranza emodinamica intradialitica è stata verificata in uno studio crossover condotto in 8 pazienti con spiccata tendenza all'ipotensione intradialitica (frequenza maggiore del 20% delle sedute). Sedute di dialisi convenzionale (C-HD, periodi A) sono state confrontate con sedute di dialisi con controllo a feedback del BV (BVC-HD, periodi B), secondo un protocollo che prevedeva una sequenza A1-B-A2. Ogni periodo sia A che B aveva una durata di un mese. Nei periodi B si otteneva una minor contrazione del BV (-10.6%), rispetto ai periodi A (-12.3% in A1 e -12.5% in A2) nonostante i tempi di trattamento e valori medi di Qf fossero sostanzialmente sovrapponibili. Le variazioni pre-post trattamento della pressione arteriosa sistolica erano significativamente molto più modeste in B (-12.4%) che nei due periodi A (-20% in A1 e -17.5% in A2, p < 0.05). Nel periodo di BVC-HD si otteneva una significativa riduzione del numero degli episodi di ipotensione severa (3 nel periodo B vs 26 in A1 e 16 in A2, p < 0.05), e degli altri sintomi intradialitici, in particolare dei crampi muscolari. Nel periodo B vi era anche un minor impiego di liquidi per infusioni terapeutiche per singolo trattamento (60 ml di soluzione fisiologica in B vs 160 ml in A1 e 95 in A2, p < 0.05). In conclusione, il sistema di controllo in biofeedback del BV in corso di HD sembra risultare utile nell'attenuare la sintomaticità delle sedute dialitiche in pazienti con spiccata tendenza all'ipotensione intra-dialitica. Un suo impiego nella dialisi di routine potrebbe rispondere a diverse finalità: i) evitare la comparsa di severe ipovolemie, in particolare in pazienti con elevati incrementi ponderali interdialitici; ii) stabilizzare il BV indipendentemente dal refilling vascolare; iii) prevenire il raggiungimento di soglie critiche individuali di volemia nei pazienti altamente instabili dal punto di vista emodinamico.

  • Ruolo dell'attivazione linfocitaria nella sindrome nefrosica a lesioni minime del bambino
    D. Seracini, G. C. Lavoratti, M.E. Rossi, M. Materassi, C. Azzari, I. Pela
    Nel nostro lavoro abbiamo valutato le sottopopolazioni linfocitarie e gli indici di attivazione con l'impiego di anticorpi monoclonali in 36 pazienti: di questi 18 (12 M e 6 F; età media 6 ± 3 anni) sono stati studiati in corso di ricaduta di sindrome nefrosica, prima di iniziare il trattamento steroideo e 18 (10 M e 8 F; età media 7 ± 4 anni) in remissione e non riceventi terapia steroidea da almeno 4 settimane. Come gruppo di controllo sono stati utilizzati 30 soggetti sani omogenei per età e sesso. Sono stati studiati i linfociti B (CD19+), i linfociti T (CD3+), i linfociti T helper (CD4+), i linfociti T suppressor/citotossici (CD8+) e il recettore IL2 (CD25+) espresso cui CD4+. I risultati sono stati i seguenti: 1) non è stata osservata alcuna differenza tra il gruppo 2 e il gruppo di controllo per quanto riguarda le sottopopolazioni linfocitarie e l'indicatore di attivazione; 2) non è stata evidenziata alcuna differenza tra il gruppo 1, il gruppo 2 e quello di controllo per quanto riguarda i linfociti CD19+ e CD8+; 3) nel gruppo 1 è stata dimostrata una significativa riduzione dei linfociti CD3+ e CD4+ sia rispetto al gruppo di controllo (p < 0.05e p < 0.05 rispettivamente) che al gruppo 2 (p < 0.05 e p < 0.05 rispettivamente); 4) nel gruppo 1 è stato osservato un significativo aumento dei linfociti CD4+ che esprimono il recettore CD25 sia rispetto al gruppo di controllo (p < 0.001) sia rispetto al gruppo 2 (p < 0.001). Riteniamo che la riduzione dei linfociti CD3+ e CD4+ e l'attivazione dei linfociti CD4+ esprimenti il recettore CD25 possano avere un ruolo nella patogenesi della sindrome nefrosica dell'infanzia.
  • La cistatina C come marker del filtrato glomerulare in pazienti portatori di trapianto renale
    A. Molino, G. Bonfant, P. Belfanti, C. Poti, A.M. Gaiter, S. Alloatti

    La cistatina C (Cyst C) è stata proposta come marker del filtrato glomerulare (GFR); scopo del presente lavoro è stato valutarne l'attendibilità rispetto alla creatinina plasmatica (Cr) ed alla sua clearance (CrC) in un gruppo di pazienti sottoposti a trapianto renale con diversi gradi di decurtazione funzionale. In 20 soggetti (età di trapianto 61 mesi, DS 47), abbiamo misurato: GFR come clearance del Cr EDTA, CrC, Cyst C con metodo immunoturbidimetrico a particelle amplificanti e tecnica manuale. Il GFR radioisotopico normalizzato per la superficie corporea era compreso tra 18 e 89 mL/min/1.73 m, la Cr tra 0.93 e 3.7 mg/dL, la CrC normalizzata tra 20 e 97 mL/min/1.73 m e la Cyst C tra 0.98 e 3.06 mg/L. I coefficienti di correlazione tra GFR radioisotopico ed i reciproci di creatinina e Cyst C sono rispettivamente r = 0.80 e 0.79; quello tra la clearance del Cr EDTA e CrC 0.79 (limiti di agreement -32.5 -,÷ 21.5 mL/min/1.73 m). In conclusione, in un gruppo di pazienti selezionati, Cyst C ha presentato una correlazione con il GFR radioisotopico simile ai dati della letteratura, ma non migliore di quelle da noi osservate tra il metodo radioisotopico e Cr e la sua clearance, indagini attualmente di costo inferiore.
    Per valutare pienamente le potenzialità di Cyst C come marker del GFR nella pratica clinica, sono necessari ulteriori studi, in particolare di tipo longitudinale.

  • Alterazioni tissutali indotte dal 2-etil-exil-ftalato in un 'sistema colturale in vivo'. Possibili implicazioni sulla tossicità del plastificante nei pazienti in trattamento dialitico
    G. Stabellini, C. Calastrini, A.L. Giuliani, G. Berti, L. Perini, A. Verzola, P.L. Bedani

    Gli Autori hanno studiato l'effetto del 2-etil-exil-ftalato in un sistema colturale in vivo (tasca cutanea predisposta sul dorso di ratto). Alcuni frammenti del nuovo tessuto neoformato della parete della tasca sono stati analizzati in microscopia ottica e dopo colorazione istochimica. Dopo sette giorni di contatto tra la soluzione contenente 10 µg/L di 2-etil-exil-ftalato e la parete della tasca si sono dimostrate alterazioni caratterizzate dalla distruzione dell'organizzazione generale del tessuto. Ad essa si accompagnavano alterazioni cellulari quali vacuolizzazione citoplasmatica, addensamenti e frammentazioni del nucleo e presenza di residui assimilabili a corpi apoptotici. I dati istochimici hanno evidenziato un aumento dei glicosaminoglicani solforati. Queste ultime modificazioni suggeriscono un possibile meccanismo di azione del 2-etil-exilftalato nell'induzione del processo di fibrosclerosi a cui vanno incontro numerosi tessuti (vasi, peritoneo, ecc.) nei pazienti in trattamento dialitico cronico.

  • Posizionamento di una cannula giugulare interna per emodialisi: reale utilità di un posizionamento ecoguidato o semplice preliminare controllo ecografico dei vasi del collo?
    P. Dionisio, M. Valenti, E. Caramello, R. Cravero, I.M.  Berto, B. Agostini, R. Bergia, P. Bajardi

    L'incannulazione della vena giugulare interna ha dimostrato, in accordo con gli ultimi dati della letteratura, di rappresentare la miglior scelta per l'allestimento di un accesso vascolare venoso centrale. Il metodo usualmente utilizzato per l'incannulazione della vena giugulare interna è basato sull'identificazione dei reperti anatomici. Sebbene questo metodo usualmente permetta di allestire l'accesso venoso, in letteratura sono riportate percentuali di fallimento fino al 19% dei casi e complicazioni nel 5-10% dei casi da porsi in relazione all'abilità dell'operatore. L'impiego dell'ecografia "real-time" per la puntura transcutanea della vena giugulare interna ed il posizionamento del catetere sono stati riportati in letteratura. Il metodo standard di puntura transcutanea della vena giugulare interna che utilizza i punti anatomici di repere del vaso, è stato impiegato dalla nostra équipe medica in 186 pazienti per l'incannulazione del vaso. I nostri risultati sono comparabili con quelli ottenuti con l'impiego della guida ecografica "real-time". E' nostra opinione che il posizionamento ecoguidato riduca le difficoltà tecniche e le complicanze quando l'operatore non sia esperto, tuttavia il maggior svantaggio è l'elevato costo dell'apparecchio ecografico portatile richiesto. La nostra ormai consistente esperienza suggerisce che il semplice controllo ecotomografico dei vasi del collo, nelle mani di un operatore esperto, rappresenti una metodica valida quanto il posizionamento ecoguidato del catetere poiché permette di escludere anomalie vascolari quali aneurismi della carotide comune, trasposizione dei grossi vasi, varianti anatomiche della vena giugulare interna che renderebbero pericolosa la puntura transcutanea del vaso. 

  • L'apoptosi nelle nefropatie (Rassegne e Aggiornamenti)
    A. Amore, P. Menè, a nome del Gruppo di Studio di Biologia Cellulare Renale della Società Italiana di Nefrologia
    L'apoptosi, o morte cellulare programmata, è un processo accuratamente regolato, finalizzato a rimuovere cellule danneggiate, invecchiate o comunque non necessarie, senza compromettere l'integrità di organi e tessuti. L'apoptosi è iniziata dalla frammentazione del DNA in nucleosomi ad opera di endonucleasi sotto controllo di diversi geni. Il processo di apoptosi previene la dispersione di componenti citoplasmatiche potenzialmente tossiche o immunogene, trasferendo il contenuto delle cellule in via di eliminazione direttamente all'interno di fagociti, senza rottura della membrana citoplasmatica o nucleare. Un difetto dell'apoptosi può determinare ipercellularità e infiammazione, con persistenza di cloni cellulari aberranti, come ad esempio linfociti autoreattivi; per contro, un eccesso di apoptosi può indurre deplezione cellulare e fibrosclerosi, con implicazioni per la patogenesi di varie malattie renali. 
  • Adeguata o inadeguata risposta eritropoietinica nell'anemia da malaria? (Lettera alla Redazione)
    E. De Paoli Vitali, M. Vedovato, G. Salvatorelli

    Riassunto non disponibile



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