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La rete delle conoscenze nefrologiche

Vol. 15 - 1998

n. 6 - novembre - dicembre

  • L'applicazione delle tecniche di PCR in biologia cellulare e istopatologia renale: potenzialità e limiti (Editoriale)

    L Gesualdo, E. Ranieri, G. Grandaliano, F.P. Schena, F. Anglani, L. Calò, S. Cantaro, G. Gambaro, A. Borsatti

  • Biocompatibilità delle membrane di emodialisi: rivisitazione critica della letteratura (Editoriale)

    C. Tetta, M. Formica, P.M. Ghezzi, A. Pacitti, G. Piccoli

  • Indicatori di qualità della dialisi

    A. Giangrande, G. Mingardi, S. Di Giulio, G. Panzetta, A. Ramello, G. Triolo

    Il documento fornisce indicatori di qualità del trattamento per pazienti adulti in terapia dialitica iterativa.

    L'indagine offre un primo esempio di consenso su un campione rappresentativo di nefrologi italiani, quando non erano ancora disponibili né le linee guida americane né le raccomandazioni inglesi.
    La realizzazione di questa analisi deriva dall'intento di prevenire i danni che possono derivare al paziente da un trattamento inadeguato e dalla sentita necessità di intraprendere processi di miglioramento della qualità delle cure nel loro complesso.
    I valori espressi non definiscono intervalli discrezionali e non hanno l'ambizione di esprimere la variabilità del dato, e neppure tengono conto della tipologia della popolazione né della epidemiologia di area. Siamo consci che dati continui dovranno essere espressi sempre, quando possibile, per illustrare la distribuzione della variabilità del risultato, ed essere riferiti ad un ben identificato campione.
    Potrebbero essere molto utili in quest'ottica i dati raccolti dai Registri regionali e nazionale; essi potrebbero divenire lo strumento per costruire dati di riferimento e per aggiustare le singole casistiche per la variabilità intrinseca ("case mix") e consentire ad ogni realtà locale di confrontare i propri risultati di morbilità e di mortalità.
    Pur con questi limiti, riteniamo gli indicatori qui analizzati comunque utili a favorire, in ogni realtà, la descrizione dei risultati conseguiti; questi stessi possono inoltre essere assunti come elemento di riferimento per valutare il proprio processo di miglioramento.
    La metodologia applicata in questo studio può essere utilmente estesa al confronto abituale fra centri e strutture diverse per poter verificare i risultati di pratiche cliniche consolidate dalla consuetudine o innovativi.
    La verifica della qualità del trattarfiento dialitico impone ovviamente, oltre che periodiche indagini di laboratorio e rilevazione di indicatori del grado di rimozione dei soluti durante il processo depurativo, la valutazione globale del paziente che comprenda la valutazione clinica e la rilevazione di parametri obiettivi, con controllo del peso corporeo "secco" e della pressione arteriosa al primo posto.
    La persistenza di un risultato inadeguato impone la modificazione della terapia, da protrarre per un periodo di tempo sufficientemente lungo per consentire di definire la reversibilità o la refrattarietà del dato.
    Ciò può avvenire con un approccio che preveda il trasferimento di tutti i pazienti al nuovo regime terapeutico, oppure con il concentrare l'impegno soltanto sul gruppo di pazienti nei quali il risultato insufficiente ha un riscontro clinico più ampio. Quest'ultimo approccio è una estensione della pratica medica abituale di personalizzare il trattamento entro limiti di terapia condivisi.

  • L'ipertensione arteriosa in medicina generale: l'esperienza del progetto PANDORA (Pressione Arteriosa nel Danno d'organo a Ravenna)

    E. Degli Esposti, A. Lucatello, R. Cocchi, A. Fabbri, A.M. Di Nardo, A. Pasi, A. Sturani

    L'ipertensione arteriosa rappresenta un importante fattore di rischio cardiovascolare e la sua gestione è in larga parte affidata ai medici di medicina generale (MMG). Nel 1997 a Ravenna ha avuto inizio lo studio pilota del progetto PANDORA che è finalizzato a valutare l'appropriatezza ed a migliorare l'efficacia dell'attuale pratica clinica nel trattamento dell'ipertensione arteriosa. Allo Studio hanno partecipato 5 MMG che, nel corso di sei mesi, hanno inserito nello studio 244 pazienti affetti da ipertensione arteriosa lieve-moderata. Durante il periodo di osservazione (sei mesi) i pazienti venivano sottoposti a 5 visite programmate presso gli ambulatori dei loro rispettivi MMG nel corso delle quali veniva eseguita una valutazione della pressione arteriosa mediante un apparecchio automatico (Dinamap 1846SX) gestito da un software volto alla standardizzazione delle procedure di misurazione.
    All'arruolamento ed al sesto mese i pazienti eseguivano inoltre un monitoraggio non invasivo della PA per 24 ore (SpaceLabs 90207) ed alcuni esami di laboratorio (creatinina sierica, assetto lipidico, uricemia, glicemia, fibrinogeno ed esame delle urine). I valori pressori, gli esiti degli esami di laboratorio e le eventuali variazioni terapeutiche operate dal MMG durante ogni visita venivano memorizzati mediante un software appositamente predisposto ed inviati via modem ad un PC situato presso il centro ospedaliero di diagnosi e cura dell'ipertensione.
    Duecentonove pazienti hanno regolarmente completato lo studio e 134 di essi sono risultati completamente valutabili.
    I nostri dati mostrano che circa il 60% dei pazienti presentavano al momento dell'arruolamento un controllo pressorio inadeguato. Le variazioni terapeutiche effettuate dai MMG nel corso dei sei mesi hanno portato ad una significativa riduzione dei valori pressori apprezzabile con entrambi gli strumenti di misura; l'esecuzione del monitoraggio dinamico della PA in questo tipo di pazienti non fornisce informazioni aggiuntive.
    In conclusione I'IA lieve-moderata può essere gestita con idonei strumenti negli ambulatori dei MMG. La collaborazione dei MMG con il centro ospedaliero di diagnosi e cura deve avere come scopo quello di standardizzare delle linee guida dalle quali ottenere un miglioramento dell'efficacia dell'attuale pratica clinica.

  • Anemia emolitica dopo trapianto renale fra soggetti ABO non identici

    E. Bertoni, A. Rosati, M. Zanazzi, L. Moscatelli, L. Di Maria, P Tosi, S. Bandini, M. Salvadori

    Per garantire equità nella distribuzione dei reni da cadavere molti allocano reni di donatori di gruppo 0 a riceventi di gruppo A o B. In tali casi sono state descritte anemie emolitiche da anticorpi antieritrociti prodotti dai linfociti B del donatore.
    Abbiamo rivisto i dati del nostro Centro Trapianti dal 1991 ad oggi al fine di verificare se: a) l'attribuzione di reni 0 a riceventi B realizzava una maggiore equità distributiva e b) se in tali casi si erano verificate anemie emolitiche.
    Globalmente 440 pazienti sono stati presenti in lista di attesa (40.8% di gruppo 0; 46.4% di gruppo A; 9.5% di gruppo B; 3.3% di gruppo AB). 185 pazienti sono stati trapiantati. 14 reni di gruppo 0 sono stati allocati a riceventi di gruppo B. Con questo criterio, dei pazienti trapiantati il 9.8% apparteneva al gruppo B. Senza questa politica dei pazienti trapiantati solo il 4.8% sarebbe appartenuto al gruppo B (p < 0.05).
    Dei 14 pazienti di gruppo B che avevano ricevuto un rene di gruppo 0, sei avevano sviluppato una grave anemia emolitica nel primo mese post-trapianto. Tre pazienti hanno chiaramente sviluppato anticorpi anti B e l'allotipo lgG di tali anticorpi dimostrava che tali anticorpi erano prodotti dai linfociti del donatore.

  • Confronto in vitro delle soluzioni per dialisi peritoneale contenenti bicarbonato o lattato sulla formazione di secondi messaggeri e sulla crescita cellulare

    S. Aterini, E. Ippolito, M. Salvadori, S. Pacini, M. Ruggiero, M. Amato

    Nel presente studio sono state paragonate le soluzioni per dialisi peritoneale contenenti lattato o bicarbonato, utilizzando le cellule in coltura AV3 (amnion umano) come substrato. E stato studiato il sistema di segnalazione transmembrana dei polifosfoinositidi, misurando la formazione del diacilglicerolo (DAG) e inositolo trisfosfato (IP3), valutando inoltre la capacità di crescita cellulare dopo esposizione alle soluzioni. Dopo essere state esposte ai liquidi, le cellule erano raccolte, contate e trattate con siero letale di vitello al 20%. Il DAG era misurato mediante cromatografia su strato sottile e I'IP3 mediante cromatografia a scambio ionico, in cellule premarcate all'equilibrio con [H] glicerolo e [H] inositolo per 24. La proliferazione cellulare era valutata come incorporazione di [H] timidina nel DNA in fase di duplicazione. La formazione di DAG in condizioni basali e dopo stimolazione era simile nelle cellule esposte ai fluidi e nei controlli. La generazione di IP3 era ridotta nelle cellule esposte al bicarbonato (-30%), mentre in presenza di lattato sono state registrate concentrazioni quattro volte superiori rispetto ai controlli. La crescita cellulare, stimolata dal siero, era praticamente abolita in presenza di lattato (-80%) ed era ridotta dalle soluzioni contenenti bicarbonato (-47%). Il bicarbonato, in confronto con il lattato, meglio preserva i meccanismi di trasmissione transmembrana del segnale e la conseguente crescita cellulare.

  • Risultati a breve e lungo termine, e dell'angioplastica renale nei pazienti diabetici con malattia renovascolare

    A. Zuccalà, E Losinno, A. Zucchelli, P C. Zucchelli

    Il numero di pazienti con diabete che giungono all'insufficienza renale terminale è in costante aumento. Sebbene la classica nefropatia diabetica resti la causa prevalente, la malattia renovascolare gioca un ruolo di crescente importanza nel determiniamo dell'insufficienza renale. L'angioplastica transluminale si è rivelata efficace nella rivascolarizzazione di tali pazienti. Riportiamo qui di seguito la nostra esperienza.

    Pazienti. Novantanove pazienti con diabete mellito e stenosi dell'arteria renale sono stati trattati con angioplastica o posizionamento di stent presso la nostra Divisione.

    Risultati. L'ipertensione risultò curata in 8 pazienti e migliorata in 44. Nessun miglioramento si ebbe in 47 pazienti. La funzione renale migliorò subito dopo l'intervento in 8/27 pazienti ed in altri 4 dopo 6 mesi. Il tasso di ristenosi dopo 5 anni fu del 22%. In 7 pazienti si ebbero complicanze maggiori.

  • Conclusioni. La malattia renovascolare è una causa importante di insufficienza renale nei pazienti con diabete. L'angioplastica transluminale risulta essere altrettanto efficace nei pazienti diabetici che nei non diabetici, sul controllo pressorio e sul recupero della funzione renale.


    Studio retrospettivo dell'accesso venoso centrale permanente in emodialisi: follow-up - di 78 mesi in Lucania

    B. Di Iorio, T Lopez, M. Procida, P Marino, V. Valente, F Iannuzziello, A. Bombini
    V. Terracciano, V Bellizzi, G. Gaudiano, E Casino V. Gaudiano, G. Santarsia, D. Mostacci, C. Bagnato, R. Biscione, R. Molinari G. Marinaro, A. Caputo, M.A. Lotito, G. Plastino, P Carretta

    L'uso del catetere venoso permanente (CVP) sta diventando un comune metodo per l'accesso venoso in pazienti emodializzati. Infatti CVP svolgono ormai un ruolo sempre più predominante in pazienti con urgenza di trattamento emodialitico in attesa che si sviluppi la EA.Y o, ancora, in pazienti che hanno esaurito ogni ulteriore tipo di accesso vascolare. Le complicanze più importanti e frequenti con l'uso di CVP sono le trombosi e le infezioni. Lo scopo di questo lavoro è quello di esaminare la sopravvivenza e le complicanze a lungo termine dei cateteri venosi permanenti impiantati in Lucania dal gennaio 1992 al giugno 1998. Durante tale periodo sono stati impiantati 90 CVP in 81 pazienti. Sono stati utilizzati 68 CVP tipo VasCath Soft Cell (Bard Instrument Company, Toronto) di lunghezza 19 (n. 56) oppure 23 cm (n. 12), 18 CVP tipo PermCath (Quinton Inst., Seattle) e 4 CVP tipo Tesio (Bellco spa, Mirandola).La sopravvivenza dei cateteri è stata effettuata mediante analisi attuariale di Kaplan-Meier. La sopravvivenza dei pazienti è di circa il 60% a 78 mesi. Sono attualmente venti 52 pazienti (27 M, 25 F), di cui 15 diabetici (26.9% e 1 paziente è stato trapiantato.La sopravvivenza attuariale dei CVP è del 90% nella colazione globale e dell'84% dei pazienti vivi a 78 mesi. In 24 pazienti (26.7%) CVP è stato il primo accesso scolare utilizzabile, mentre le complicanze a lungo termine si sono verificate globalmente in 27 casi (1 caso o 44.81 mese-paziente), rottura nel 3.3% dei casi, trombosi nell'8.9%, dislocazione nel 2.2%, sanguinamento del tunnel nel 3.3%, basso Qb nel 6.6%, infezioni nel 5.5%).In conclusione anche i nostri dati confermano che i CVP possono costituire un valido accesso vascolare definitivo per i pazienti in HD. I CVP diventano, altresì, l'accesso vascolare di prima scelta nei pazienti cardiopatici e in quelli con ridotta aspettativa di vita (per es. nelle neoplasie), così come sta diventando sempre più diffusa la preferenza verso questa tecnica da parte dei pazienti particolarmente sensibili alla venopuntura.

  • La macroglossia: un'altra complicanza del trattamento dialitico a lungo termine

    O. Marzolla, G. Enia, M. Garozzo, V. Candela, M.L. Mannino, S.A. Malara, C. Labate, C. Martorano, A. Curatola, P. Scudo, F.A. Benedetto, C. Zoccali

    Per valutare la prevalenza di macroglossia nei pazienti in dialisi, abbiamo studiato i pazienti dei nostri 2 Centri di emodialisi (n= 116). Tre pazienti avevano una chiara macroglossia. La prevalenza della macroglossia tra i pazienti con oltre 20 anni di dialisi era del 33% (3/9) . La biopsia eseguita in 2 casi ha mostrato infiltrazione di amiloide. I tre pazienti erano stati trattati mediante emodialisi rispettivamente per 26, 25 e 21 anni, e quasi esclusivamente con membrane di cuprophan. Due pazienti avevano segni di severa amiloidosi osteo-articolare evidenti già 10 anni prima del riscontro di macroglossia, ed erano stati operati diverse volte per sindrome del tunnel carpale. Il terzo paziente, pur non avendo una sindrome del tunnel carpale sintomatica, aveva segni radiologia e clinici di interessamento articolare. La macroglossia nel caso più grave ha determinato una malnutrizione severa.La macroglossia è una complicanza del trattamento dialitico a lungo termine. In casi eccezionali la macroglossia può compromettere la masticazione e la deglutizione e determinare malnutrizione.

  • Alterazioni morfo-funzionali dell'apparato cardio-vascolare nei pazienti con malattia renale policistica autosomica dominante

    L. Amoroso, G. Del Rosso, M. Bonomini, L. Di Liberato, S. Gallina, M. Marchetti, A. Barsotti, A. Albertazzi

    Al fine di valutare il coinvolgimento e la presenza di modificazioni dell'apparato cardio-circolatorio nella malattia renale policistica abbiamo sottoposto 15 giovani adulti, normotesi e con funzione renale normale affetti da malattia renale policistica autosomica dominante (GI) ad esame ecocardiografico color-Doppler e a monitoraggio pressorio ambulatoriale. I risultati sono stati comparati con quelli ottenuti in un gruppo di soggetti sani (G2). Nel 33% dei pazienti policistici è stata documentata la presenza di anomalie morfo-funzionali a carico della valvola mitrale caratterizzata da una ridondanza delle cuspidi valvolari a cui era associato, nel 13% dei casi, anche un prolasso del lembo anteriore. Non sono state documentate alterazioni delle valvole aortica e polmonare.L'indice di massa del ventricolo sinistro, pur rimanendo nei limiti della norma, è risultato significativamente più elevato (p

    In conclusione nei soggetti con malattia renale policistica autosomica dominante sono documentabili alterazioni morfo-funzionali dell'apparato cardio-vascolare quando è ancora presente una funzione renale normale. L'aumentato carico pressorio può inoltre contribuire ad una più rapida progressione del danno renale.

  • Correlazione tra spessore medio-intimale carotideo e assetto lipidico nei trapiantati renali

    A. Capitanini, M. Sgrò, E. Morelli, A. Cupisti, C. Lenti, G. Barsotti

    In ventiquattro trapiantati renali è stata studiata la prevalenza di lesioni aterosclerotiche subcliniche, misurando ecograficamente lo spessore medio-intimale massimo (Tmax) o medio (Tmed), a vari livelli delle pareti carotidee. Inoltre, sono stati valutati il quadro lipidico, i valori di pressione arteriosa, ed eventuali segni di infezione da Citomegalovirus. Sono stati esclusi dallo studio i pazienti diabetici, o con anamnesi positiva per arteriopatia periferica, cerebrale o coronarica, i soggetti con insufficienza dell'organo trapiantato (creatininemia > 1.8 mg/dl) o con proteinuria > 2 gldie.

    Tredici su 24 pazienti (54%) mostravano Tmax >1 mm (1.5±0.47 mm), valore significativamente maggiore (plmm presentavano livelli plasmatici superiori di colesterolo totale (256±36 vs 182±34 mg/dl; p

    Valori di colesterolemia totale > 200 mg/dl erano presenti nel 66% dei pazienti studiati. I valori di Tmax correlavano in maniera significativa con i livelli di colesterolemia totale e LDL. Nessuna correlazione era presente fra Tmax o Tmed e i titoli anticorpali per il Citomegalovirus, pressione arteriosa media, età dialitica pre-trapianto, età del trapianto e valori medi di ciclosporinemia. I pazienti con spessore intimale normale o aumentato non mostravano differenze concernenti fibrinogeno e piastrine.
    In conclusione, i soggetti trapiantati mostrano una notevole prevalenza di lesioni aterosclerotiche subcliniche associate ad un alterato profilo lipidico. Questi due parametri dovrebbero essere attentamente valutati in questi pazienti, al fine di un adeguato trattamento dietetico c/o farmacologico avente lo scopo di prevenire gravi complicanze cardiovascolari.

  • Quanto bicarbonato c'è nei bagni? (Tanti concentrati, tante etichette ) (Lettera alla Redazione)

    G. Bonfant, P Belfanti, A.M. Gaiter



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